At 5,27b-32.40b-41; Sal 29;
Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Per cogliere in modo unitario il messaggio delle tre
letture odierne, partiamo dal vangelo, dove vediamo che Pietro, riabilitato e confortato
dalla presenza e dalle parole del Risorto, riscopre la sua vocazione di
“pastore”. Il brano degli Atti (prima lettura) ci racconta come gli apostoli
ritornano a predicare con gioia Cristo risorto nonostante gli insuccessi e le
ripetute proibizioni del Sinedrio. Finalmente il brano dell’Apocalisse (seconda
lettura) ci rassicura che Cristo ha riportato la vittoria sulla morte ed ora
riceve la lode di tutte le creature. Niente ci deve quindi scoraggiare dal
servizio al vangelo: né le difficoltà della fede né la persecuzione.
La predicazione apostolica produce l’immancabile reazione
del Sinedrio, al tempo autorità religiosa e anche politica. Imprigionati e
miracolosamente liberati, gli apostoli si recano di nuovo nel tempio a
testimoniare pubblicamente il loro Signore. Al sommo sacerdote, presidente del
tribunale del Sinedrio, che ricorda a Pietro la proibizione di insegnare nel
nome di Gesù, l’Apostolo risponde coraggiosamente a nome di tutti: “Bisogna
obbedire a Dio invece che agli uomini”. “Obbedire” nella Bibbia è sinonimo di
“credere”; perciò, Pietro afferma la forza critica della fede nei confronti
dell’autorità umana, politica o religiosa, quando essa si arroga dignità e
ruoli che non rispettano la libertà della coscienza. Il conflitto della comunità
apostolica con il potere giudaico prolunga quello che ha condotto Gesù alla
passione e alla morte in croce. Ma Cristo ha vinto la morte! La testimonianza
degli apostoli poggia su questa certezza, a tal punto che essi sono “lieti di
essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù”.
Testimoniare Cristo risorto è compito della Chiesa nel
suo insieme, di tutti i cristiani. Ma per testimoniare Cristo è necessario fare
anzitutto esperienza di lui, percepire la sua presenza, e incontrarlo nella
nostra vita. Notiamo che gli apostoli incontrano il Signore risorto mentre sono
al lavoro ed è qui che vengono richiamati al loro impegno di testimoniare
dinanzi agli uomini il vangelo di Gesù. La testimonianza e l’esperienza del Cristo
si collocano quindi all’interno della vita quotidiana, familiare e di lavoro. Questa
testimonianza non è senza sofferenza e croce. Bisogna abituarsi a portare
giorno dopo giorno la croce della testimonianza della propria fede senza perdersi
d’animo. Ciò significa che la nostra testimonianza deve essere ferma ma non
arrogante, decisa ma non provocatoria, umile ma non masochista, una
testimonianza d’amore e non di privilegio, una testimonianza nel nome del
Signore Gesù e non nel nome proprio.
In modo del tutto particolare, il Signore continua a
manifestarsi a noi nell’eucaristia perché, riconoscendolo nei segni sacramentali,
possiamo “proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore”.