1 Canto delle salite. Di Davide.
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
2 Io invece resto quieto e
sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l'anima mia.
3 Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre.
La Liturgia delle Ore propone
il Sal 130 nell’Ufficio delle letture del sabato della prima settimana (nel
Tempo ordinario) e nei Vespri del martedì della terza settimana. Come sottotitolo
si cita Mt 11,29: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore.
Il salmo viene chiamato
“canto delle salite” (v. 1). Era, infatti, cantato dai pellegrini quando
salivano verso Gerusalemme. Un testo breve, che esprime una profonda fiducia in
Dio, Considerato da molti biblisti il poema più bello dell’intero Salterio, uno
dei più preziosi nel cammino della nostra ascensione spirituale. L’orante non
sollecita nulla, esprime soltanto la sua grande fiducia in Dio.
Il v.1, costruito mediante
una triplice antitesi, descrive l’opposto alla fiducia in Dio, cioè
l’atteggiamento orgoglioso del superbo: un cuore che si esalta, occhi altezzosi
che guardano gli altri assumendo atteggiamenti di superiorità, piedi che
camminano alla ricerca di cose grandi, superiori alle proprie forze. In questo
primo versetto c’è un’ammonizione ai presuntuosi che vanno dietro a sogni o
progetti troppo grandi, che frequentemente sono immaginazioni fantasiose della loro
mente. Concetti simili troviamo in altri libri dell’Antico Testamento. Così, ad
esempio, Geremia rimprovera, in nome di Dio, il suo collaboratore Baruc: “Dice
il Signore: Ecco io abbatto ciò che ho edificato e sradico ciò che ho piantato;
così per tutta la terra. E tu vai
cercando grandi cose per te? Non cercarle, poiché io manderò la sventura su
ogni uomo. Oracolo del Signore. A te farò dono della tua vita come bottino, in
tutti i luoghi dove tu andrai” (Ger 45,
4-5). E nello stesso Salterio, l’autore del Sal 17 (18) è consapevole che il
Signore “salva il popolo dei poveri, ma abbassa gli occhi dei superbi” (v. 28).
Possiamo interpretare
questo primo versetto come una specie di confessione che il salmista fa dinanzi
al Signore di quei sentimenti che talvolta si impadroniscono della sua mente e
che egli riconosce come qualcosa che va rifiutato. Questa confessione sarebe
incompleta senza il v. 2. Dopo il cuore, gli occhi e i piedi, si fa riferimento
alla persona umana come un essere di desideri ed emozioni per esprimere in
forma positiva l’atteggiamente profondo dell’orante dinanzi al suo Dio: egli si
sente sicuro nelle braccia del Signore come un bambino piccolo si può sentire
sicuro nelle braccia di sua madre. Il salmista non si considera solo un bambino
piccolo; il testo originale si può tradurre “un bimbo appena svezzato”, di due
o tre anni. In questo caso, il bambino non vede sua madre solo come fonte di nutrimento,
ma instaura con essa un rapporto più consapevole di affetto e d’intimità. Con
questa immagine materna si parla di Dio, secondo le modalità con cui Egli si ci
rivela nella Sacra Scrittura: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli
d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia” (Os 11,4),
parole indirizzate ai figli d’Israele che il profeta pone nella bocca di Dio.
Anche altri profeti, come Isaia, si esprimono in modo simile: “Come una madre
consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati” (Is
66,13). In risposta a questo rivelarsi materno di Dio, il credente vive con
gioia il presente senza fare piani e progetti a lunga scadenza, saddisfato di
accogliere nella pace il dono di Dio.
Qualcuno potrebbe sospettare che questo salmo
descriva una situazione idilliaca, frutto della fantasia, qualcosa impossibile
di essere vissuto in questo mondo e, quindi, illusorio ed egoista. Questa
interpretazione è smentita dalla parte finale del salmo, il v. 3. Qui il testo
passa dal singolare al plurale, ossia alla comunità: “Israele attenda il Signore, da ora e per
sempre”. Con questa esortazione, l’orante si pone in un atteggiamento di
attesa, a cui invita l’intero popolo credente. Alla luce della presenza e del
contesto in cui si adopera il verbo attendere/sperare nel Salterio, si può
affermare che il Sal 130 descrive una situazione in cui l’abbandono e la
fiducia sono passati attraverso il vaglio della prova e della sofferenza, ossia
della vita concreta e reale. Possiamo spingerci oltre. Sperare nel Signore
significa anche ridimensionare, purificare e semplificare altre molte attese
che si annidano nel nostro cuore.
Troviamo frequentemente nei commenti moderni la lettura del Sal
130 in chiave di elogio dell’umiltà. Lettura fondata su un’ampia base di
interpretazioni antiche. Si tratta, quindi, di una interpretazione tradizionale
del salmo. Nel testo del nostro salmo, l’umiltà è in rapporto con la figura del
bambino, ossia dell’infanzia. Lo stesso Gesù ha adoperato più volte questa immagine
come esempio di umiltà. San Matteo ci racconta che in una certa occasione i
discepoli si avvicinarono a Gesù e gli domandarono chi era il più grande nel
regno dei cieli? Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
“In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini,
non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo
bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,3-4; Mc 10,15; Lc
10,21). Lo stesso Gesù si presenta come colui che “non è venuto a farsi
servire, ma per servire…” (Mt 20,28). E la lettera ai Filippesi ci invita ad
avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, che “pur essendo nella condizione
di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo” (Fil 2,6-7). Anche Maria, la madre di Gesù,
si dichiara “la serva del Signore” (Lc 1,38).
Su questi e altri testi simili è fondato il chiamato “cammino
dell’infanzia spirituale” di santa Teresa del Bambin Gesù. Secondo la santa di
Lisieux, la santità non consiste in tale o quale pratica; consiste in una
disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle mani di Dio,
consapevoli della nostra debolezza e pienamente fiduciosi nella bontà del
Padre. Il cammino dell’infanzia spirituale condurrà questa santa alle più alte
esperienze mistiche con un profondo senso di abbandono e di speranza in Dio.
Santa Bernardette, contemporanea di Teresa, diceva semplicemente: “Amo tutto
ciò che è piccolo”.
È evidente che né il salmo, né Gesù, ne santa Teresa ci invitano
ad un cammino di regressione psicologica, a negare il cammino di maturazione
umana percorso, o a tornare indietro ad una mitica, inesistente innocenza
infantile. Colui che intende in questo modo l’infanzia spirituale, oltre ad
assumere atteggiamenti fisici e spirituali ridicolmente infantili, va incontro
ad un rischio che con grande acutezza ha evidenziato sant’Agostino commentando
proprio il salmo 130: “C’è
della gente che, ascoltando discorsi sull’obbligo dell’umiltà, si deprimono e
rifiutano d’imparare anche le cose più elementari, convinti che, se
progrediranno nella scienza diverranno per forza superbi: per cui rimangono
sempre al livello del latte. Per costoro c’è un rimprovero nella [stessa] Scrittura,
là dove si dice: Vi siete costretti ad avere bisogno di
latte invece del cibo solido (Eb 5,12). Difatti, se Dio vuole
che ci nutriamo di latte, non è perché rimaniamo sempre bisognosi di latte ma
perché, nutriti di latte, cresciamo fino a renderci capaci di cibo solido”.
Si
tratta, quindi, di un atteggiamento che possiamo chiamare di “infanzia matura”
(il contrario di tante maturità secondo il registro civile, che sono invece vissute
in modo infantile). Si tratta di avere un atteggiamento di sorpresa, di stupore:
lo stupore del bambino è il motore interno che in modo naturale lo conduce a
scoprire il mondo che lo circonda; un atteggiamento di fiducia nella sincerità
e bontà delle azioni umane. È così che si dimostra di essere maturi, senza
cadere nell’orgoglio e nell’arroganza, perché si ha imparato a non avere potere
sugli altri, a conservare un atteggiamento di apertura e una posizione di ascolto.
In poche parole, possiamo riassumere dicendo con san Paolo: “Siate sottomessi
gli uni agli altri” (Ef 5, 21). Essere capaci di questa sottomissione significa
essere maturi senza esaltarsi, conservando lo stupore dei bambini, lo stupore
tranquillo e pacifico di colui che gode del presente come di un dono del
Signore sempre rinnovato. Platone diceva che il principio della filosofia,
dell’amore per la sapienza, non è altro che lo stupore; lo stupore di colui che
ogni giorno accetta di essere svezzato dalla durezza della vita senza perdere
la fiducia in Dio, ossia di colui che dinanzi alle prove della vita riposa
tranquillo e fiducioso nelle braccia del Signore.
Preghiera:
Donaci,
Signore, di accettarci come tu stesso ci accetti, con i nostri limiti e le
nostre debolezze; e di seguirti in umiltà di cuore con la semplicità e la
serenità dei fanciulli.
Bibliografia: Spirito Rinaudo, I salmi
preghiera di Cristo e della Chiesa, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1973; David M. Turoldo –
Gianfranco Ravasi, “Lungo i fiumi… I Salmi. Traduzione poetica e commento,
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Angel Aparicio – José Cristo Rey
García, I Salmi preghiera della comunità. Per celebrare la Liturgia delle Ore,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995; Vincenzo Scippa, Salmi, volume 1.
Introduzione e commento, Messaggero, Padova 2002; Ludwig Monti, I salmi: preghiera e vita, Qiqajon,
Comunità di Bose 2018; Temper Longman
III, I salmi. Introduzione e commento,
Edizioni GBU, Chieti 2018; Vincenzo Bonato, I Salmi. Pregherò con lo spirito,
ma pregherò anche con l’intelligenza, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia
2021.