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domenica 9 aprile 2023

LA RISERVA DELL’EUCARISTIA Dal IX secolo al Concilio tridentino

 



 

Dal IX secolo in avanti, per tutto l’Occidente, la consuetudine di conservare l’Eucaristia nelle chiese divenne comune, mentre non si hanno più testimonianze che il Pane eucaristico venisse ancora consegnato ai laici perché lo portassero e lo custodissero nelle proprie abitazioni. Tuttavia, le modalità con le quali venivano conservate le specie eucaristiche poteva essere varie, come diversi potevano essere i luoghi dove venivano custodite.

Innanzitutto, rimane l’antica pratica di conservare l’Eucaristia in un luogo attiguo alla chiesa, generalmente nella sacrestia, dove si trovava un armadio riservato ad accogliere il contenitore per il pane consacrato nella Messa. Nel 1311 il Sinodo di Ravenna lasciò al sacerdote la facoltà di scegliere, tra la sacrestia e la chiesa, il luogo ritenuto più opportuno per conservare la riserva eucaristica.

Verso la fine del primo millennio cominciò l’uso di porre la pisside eucaristica sopra l’altare, assieme alle reliquie dei santi. Così infatti ci ricorda Raterio, vescovo di Verona, quando nel 933 prescrive ai presbiteri che sull’altare non si deve mettere niente, tranne le teche e le reliquie, o i quattro vangeli e i vasi o pissidi con il corpo e sangue del Signore per il viatico agli infermi. Spesso il contenitore dell’Eucaristia, di diversa forma e grandezza, veniva ricoperto di una seta a forma di tenda circolare, che poi darà il nome stesso di “tabernacolo”, cioè appunto “tenda” se detta in latino, o “conopeo”, termine anch’esso che significa “tenda” se detta in greco. Ben presto però la pisside, invece di essere coperta con la stoffa, venne posta in una cassetta di legno, oppure di metallo, che molto spesso aveva il tetto piramidale e quasi sempre di modeste dimensioni e mobile: potremmo considerarla il precursore del tabernacolo, come inteso oggi. Il Concilio Lateranense IV (1215) prescrisse che l’Eucaristia, come il crisma, fosse chiusa a chiave e ben sicura per timore che venisse sottratta e profanata. Guglielmo Durando, vescovo di Mende, negli ultimo anni del XIII secolo attesta che sopra la parte posteriore dell’altare, “super posteriori parte altaris”, era collocata un’arca o “tabernacolo” in cui si custodiva la pisside con il Corpo di Cristo, nostra propiziazione (cfr. Eb 9; Rm 3,25) e che veniva chiamato proprio propitiatorium, a imitazione del propiziatorio dell’ Antico Testamento posto a coperchio dell’arca dell’Alleanza, considerata il luogo della presenza di Dio (cfr. Es 25,17-22; Lv 16,2.14-15). Era questo un sistema di custodia assai diffuso anche in Italia nel XIII-XIV secolo.

Altra consuetudine, a cominciare dall’XI secolo e diffusasi principalmente in Francia e in Inghilterra, meno in Italia, è quella di conservare l’Eucaristia in custodie a forma di colomba e sospese sopra l’altare. Come vaso simbolico era già in uso dal IV secolo nei battisteri per contenere il crisma. Questa colomba eucaristica, di dimensioni pure qui modeste, recava sul dorso un coperchio a chiusura di un incavo, dentro il quale si poneva la pisside con le particole, e poggiava sopra un piatto appeso con catenelle alla cupola o alla volta del ciborio – quindi al cielo – oppure a lato dell’altare. Un velo bianco poteva coprire la colomba.

Sempre dopo il Mille troviamo quella che sarà la forma per diversi secoli più adottata in Italia, e pure in Germania, perché ritenuta più pratica e sicura: il tabernacolo murale. Si tratta di una nicchia ricavata nel muro dell’abside, generalmente a fianco dell’altare, in cornu Evangelii, oppure nel coro, e munita di una porticina con serratura. Speso questa edicola si proponeva con un timpano sorretto da due colonnine tortili, in cui l’apparato decorativo si limitava a una ornamentazione a rilievo piuttosto sobria e all’impiego anche del mosaico. Nel periodo gotico e anche rinascimentale, questi tabernacoli a muro ebbero una larga diffusione, crebbero nelle dimensioni, si arricchirono di sculture a rilievo con simboli eucaristici e divennero sempre più dei capolavori che ancora oggi si possono ammirare, come quello di San Clemente a Roma (XIII secolo) e quello di Spoleto (XV secolo). Dal XVII secolo, con le prescrizioni post-tridentine del tabernacolo sull’altare, vennero abbandonati e usati per conservare gli oli santi.

A partire dal XIII secolo, soprattutto in Germania e nelle chiese del Nord Europa, vennero realizzatele edicole eucaristiche. Si presentavano come costruzioni imponenti e ricche, spesso monumentali, in legno e marmo, a forma di torre, la cui altezza talvolta raggiungeva quasi la volta, di prevalente stile ogivale. Venivano erette vicino all’altare e custodivano l’ostia consacrata in un vaso trasparente, posto dietro una grata metallica in modo da lasciarla vedere, o intravedere, perennemente. L’origine di tali edicole si può trovare nel forte desiderio, così vivo nella pietà popolare del tempo, di “vedere” le specie eucaristiche, sia nella celebrazione con l’elevazione della particola e del calice, sia fuori, nelle cosiddette mostranze e nell’accrescersi delle esposizioni eucaristiche. Di fronte agli interventi di molti Sinodi per contenere e limitare il moltiplicarsi delle forme di pietà popolare verso l’Eucaristia che spesso rasentavano la superstizione e l’esagerazione, le edicole divenivano una sorta di compromesso capace di contenere e insieme soddisfare il mai sazio desiderio dei fedeli di vedere l’ostia consacrata, trasformando in questo modo il luogo della riserva eucaristica in una specie di esposizione permanente del Santissimo Sacramento.

 

Fonte: Diego Giovanni Ravelli, La Domus Ecclesiae. I luoghi della celebrazione, San Paolo 2022, pp. 150-154 (le note non sono state riprese).