Dal IX secolo in
avanti, per tutto l’Occidente, la consuetudine di conservare l’Eucaristia nelle
chiese divenne comune, mentre non si hanno più testimonianze che il Pane eucaristico
venisse ancora consegnato ai laici perché lo portassero e lo custodissero nelle
proprie abitazioni. Tuttavia, le modalità con le quali venivano conservate le
specie eucaristiche poteva essere varie, come diversi potevano essere i luoghi
dove venivano custodite.
Innanzitutto, rimane
l’antica pratica di conservare l’Eucaristia in un luogo attiguo alla chiesa,
generalmente nella sacrestia, dove si trovava un armadio riservato ad
accogliere il contenitore per il pane consacrato nella Messa. Nel 1311 il
Sinodo di Ravenna lasciò al sacerdote la facoltà di scegliere, tra la sacrestia
e la chiesa, il luogo ritenuto più opportuno per conservare la riserva
eucaristica.
Verso la fine del
primo millennio cominciò l’uso di porre la pisside eucaristica sopra l’altare,
assieme alle reliquie dei santi. Così infatti ci ricorda Raterio, vescovo di
Verona, quando nel 933 prescrive ai presbiteri che sull’altare non si deve
mettere niente, tranne le teche e le reliquie, o i quattro vangeli e i vasi o
pissidi con il corpo e sangue del Signore per il viatico agli infermi. Spesso
il contenitore dell’Eucaristia, di diversa forma e grandezza, veniva ricoperto
di una seta a forma di tenda circolare, che poi darà il nome stesso di
“tabernacolo”, cioè appunto “tenda” se detta in latino, o “conopeo”, termine
anch’esso che significa “tenda” se detta in greco. Ben presto però la pisside,
invece di essere coperta con la stoffa, venne posta in una cassetta di legno,
oppure di metallo, che molto spesso aveva il tetto piramidale e quasi sempre di
modeste dimensioni e mobile: potremmo considerarla il precursore del
tabernacolo, come inteso oggi. Il Concilio Lateranense IV (1215) prescrisse che
l’Eucaristia, come il crisma, fosse chiusa a chiave e ben sicura per timore che
venisse sottratta e profanata. Guglielmo Durando, vescovo di Mende, negli
ultimo anni del XIII secolo attesta che sopra la parte posteriore dell’altare,
“super posteriori parte altaris”, era collocata un’arca o “tabernacolo”
in cui si custodiva la pisside con il Corpo di Cristo, nostra propiziazione
(cfr. Eb 9; Rm 3,25) e che veniva chiamato proprio propitiatorium, a
imitazione del propiziatorio dell’ Antico Testamento posto a coperchio
dell’arca dell’Alleanza, considerata il luogo della presenza di Dio (cfr. Es
25,17-22; Lv 16,2.14-15). Era questo un sistema di custodia assai diffuso anche
in Italia nel XIII-XIV secolo.
Altra consuetudine, a
cominciare dall’XI secolo e diffusasi principalmente in Francia e in
Inghilterra, meno in Italia, è quella di conservare l’Eucaristia in custodie a
forma di colomba e sospese sopra l’altare. Come vaso simbolico era già in uso
dal IV secolo nei battisteri per contenere il crisma. Questa colomba
eucaristica, di dimensioni pure qui modeste, recava sul dorso un coperchio a
chiusura di un incavo, dentro il quale si poneva la pisside con le particole, e
poggiava sopra un piatto appeso con catenelle alla cupola o alla volta del
ciborio – quindi al cielo – oppure a lato dell’altare. Un velo bianco poteva
coprire la colomba.
Sempre dopo il Mille
troviamo quella che sarà la forma per diversi secoli più adottata in Italia, e
pure in Germania, perché ritenuta più pratica e sicura: il tabernacolo murale.
Si tratta di una nicchia ricavata nel muro dell’abside, generalmente a fianco
dell’altare, in cornu Evangelii, oppure nel coro, e munita di una
porticina con serratura. Speso questa edicola si proponeva con un timpano
sorretto da due colonnine tortili, in cui l’apparato decorativo si limitava a
una ornamentazione a rilievo piuttosto sobria e all’impiego anche del mosaico.
Nel periodo gotico e anche rinascimentale, questi tabernacoli a muro ebbero una
larga diffusione, crebbero nelle dimensioni, si arricchirono di sculture a
rilievo con simboli eucaristici e divennero sempre più dei capolavori che
ancora oggi si possono ammirare, come quello di San Clemente a Roma (XIII
secolo) e quello di Spoleto (XV secolo). Dal XVII secolo, con le prescrizioni
post-tridentine del tabernacolo sull’altare, vennero abbandonati e usati per
conservare gli oli santi.
A partire dal XIII
secolo, soprattutto in Germania e nelle chiese del Nord Europa, vennero
realizzatele edicole eucaristiche. Si presentavano come costruzioni imponenti e
ricche, spesso monumentali, in legno e marmo, a forma di torre, la cui altezza
talvolta raggiungeva quasi la volta, di prevalente stile ogivale. Venivano
erette vicino all’altare e custodivano l’ostia consacrata in un vaso
trasparente, posto dietro una grata metallica in modo da lasciarla vedere, o
intravedere, perennemente. L’origine di tali edicole si può trovare nel forte
desiderio, così vivo nella pietà popolare del tempo, di “vedere” le specie
eucaristiche, sia nella celebrazione con l’elevazione della particola e del
calice, sia fuori, nelle cosiddette mostranze e nell’accrescersi delle
esposizioni eucaristiche. Di fronte agli interventi di molti Sinodi per contenere
e limitare il moltiplicarsi delle forme di pietà popolare verso l’Eucaristia
che spesso rasentavano la superstizione e l’esagerazione, le edicole divenivano
una sorta di compromesso capace di contenere e insieme soddisfare il mai sazio
desiderio dei fedeli di vedere l’ostia consacrata, trasformando in questo modo
il luogo della riserva eucaristica in una specie di esposizione permanente del
Santissimo Sacramento.
Fonte: Diego Giovanni
Ravelli, La Domus Ecclesiae. I luoghi della celebrazione, San Paolo 2022,
pp. 150-154 (le note non sono state riprese).