GIOVEDI SANTO: MESSA VESPERTINA “IN CENA DOMINI”
6 Aprile 2023
Es
12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
Il
brano evangelico d’oggi inizia con queste parole: “Prima della festa di Pasqua,
Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre,
avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. La sera del Giovedì Santo celebriamo l’ora
di Gesù, l’ora in cui egli manifesta pienamente sé stesso facendosi dono per
noi. Nell’eucaristia facciamo memoria di Gesù, del suo dono personale in nostro
favore e siamo inviati ai nostri fratelli per farli partecipi della “pienezza
di carità e di vita” (cf. colletta della messa) attinta dal mistero
eucaristico.
Nel racconto
fondatore dell’eucaristia riportato da san Paolo (cf. seconda lettura) si pone
nelle labbra di Gesù per ben due volte, dopo le parole sul pane e quelle sul
calice, l’ordine: “fate questo in memoria di me”. Cosa significa fare, ripetere
questi gesti “in memoria” di Gesù? Per cogliere il significato di questa espressione
bisogna risalire all’istituzione della Pasqua ebraica, di cui ci parla la prima
lettura; dopo le prescrizioni rituali riportate dal testo, il brano conclude
con queste parole: “Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete
come festa del Signore…” Nella cultura giudeo-cristiana, ricordare o fare
memoria esprime la convinzione che l’evento salvifico si attualizza nella storia.
In questo senso, l’eucaristia non è un ricordo solo interiore o un segno senza
riscontro nella realtà, ma ripresentazione efficace nel sacramento del
sacrificio di Cristo nell’oggi della Chiesa in tensione verso la realtà gloriosa
del Cristo risorto.
La memoria
di Gesù è dinamica: essa proietta in avanti la Chiesa che in questo modo ha preso
contatto con il suo Signore e che deve esprimere nell’esistenza ordinaria
quello che Gesù ha vissuto sulla terra, vale a dire l’amore a Dio a agli uomini
“sino alla fine”. Questo è il senso della lavanda dei piedi (cf. vangelo), tramandata
solo da Giovani al posto dell’istituzione eucaristica. In questo modo, san
Giovanni presenta l’eucaristia come il sacramento dell’abbassamento, dell’obbedienza,
del sacrificio spirituale e dell’amore di Cristo, del dono totale di sé per la
salvezza di noi tutti.
Possiamo
concludere affermando che il messaggio del Giovedì Santo è tutto qui: vivere,
ad esempio di Cristo, la nostra fede come dono di noi stessi al servizio dei
nostri fratelli, nella obbedienza a Dio Padre. Questo è il senso dell’eucaristia,
questa è la missione fondamentale del sacerdozio ministeriale nella Chiesa e
questo è il nocciolo della vita cristiana sintetizzata nel comandamento nuovo dato
da Gesù quando dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli
altri, come io ho amato voi” (Gv 15,12).
VENERDI’ SANTO:
PASSIONE DEL SIGNORE – 7 Aprile 2023
Is
52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42
Una
prima caratteristica è la consapevolezza. Gesù è pienamente consapevole di tutto
ciò che sta per accadere contro di lui. La consapevolezza di Gesù nei confronti
della passione e morte è segnalata tre volte nel vangelo di Giovanni (13,1; 18,4;
19,28). E in tutti e tre i casi è adoperato un verbo greco (oida) che indica una consapevolezza
piena, chiara e stabile. Dopo la consapevolezza, il secondo tratto è la
libertà. Giovanni racconta che Gesù “uscì fuori”, andando lui stesso incontro a
coloro che venivano ad arrestarlo. Gesù non è un uomo impotente nelle mani dei
suoi aguzzini, ma un uomo che si consegna da sé. Gesù si preoccupa addirittura dei suoi
discepoli e dice a coloro che vengono ad arrestarlo: “se cercate me, lasciate
che questi se ne vadano”. E’ sempre Lui che domina e dirige tutta la scena.
Quando Pietro colpisce con la spada Malco, il servo del sommo sacerdote, la risposta
di Gesù al gesto di Pietro è un secco rifiuto di ogni tipo di resistenza: “Rimetti
la spada nel fodero”. La ragione è la volontà del Padre, alla quale Gesù non
intende in alcun modo di sottrarsi.
Se
ora ci spostiamo alla fine del racconto, nei momenti vicini alla morte di Gesù,
notiamo che anche qui Egli è pienamente consapevole degli eventi tragici di cui
è protagonista, eventi che Gesù gestisce appunto come vero protagonista. In
questa parte del racconto, ricorre tre volte il verbo “compiere”. Che cosa è
compiuto? Dopo aver preso l’aceto, Gesù dice “E’ compiuto”, che non significa semplicemente
che la fine è giunta. Bensì: l’opera che il Padre ha affidato a Gesù, è
compiuta, realizzata fino in fondo; Gesù ha condotto fino al limite estremo il
suo amore (“li amò sino alla fine”, leggevamo ieri nel vangelo). Le Scritture
si sono compiute. La Croce non è un compimento come gli altri, ma il termine a
cui tutta la Scrittura, e dunque il disegno di Dio tendeva. Subito dopo
Giovanni descrive la morte di Gesù dicendo che Egli “consegnò lo spirito”. Gesù
muore cosciente e consenziente: è Lui che china il capo e rende lo spirito. Gesù
conclude la sua opera in un atto di serena consapevolezza e nell’atteggiamento
che gli è stato abituale lungo tutta la vita: il dono.
Un
soldato trafigge il fianco di Gesù con la lancia e “subito ne uscì sangue e acqua”,
dice Giovanni. Perché il sangue e l’acqua? Il sangue è il segno del valore
redentore del sacrificio di Gesù, e l’acqua è il simbolo dello Spirito Santo e
della vita che di quel sacrificio sono il frutto. Dalla Croce del Venerdì santo
scaturiscono per tutta l’umanità questi doni che durano per sempre.
VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA – 8/9 Aprile 2023
Gen 1,1-2,2; Gen 22,1-18; Es 14,15-15,1; Is 54,5-14; Is 55,1-11; Bar 3,9-15.32-4,4; Ez 36,16-17a.18-28; Rm 6,3-11; dal Sal 117; Mt 28,1-10.
La
celebrazione della Veglia pasquale si divide in quattro parti: la liturgia
della luce o “lucernario”, la liturgia della Parola, la liturgia battesimale e
la liturgia eucaristica. I diversi momenti celebrativi della Veglia hanno un
filo conduttore: l’unità del disegno salvifico di Dio che si compie nella Pasqua
di Cristo per noi.
L’antico
testo dell’Annuncio pasquale è percorso da una profonda coscienza teologica di
tipo sapienziale e contemplativo, che si nutre di stupore e di adorazione, di lode
e di ringraziamento e in tale linguaggio si esprime: si parte dalla contemplazione
della storia delle opere salvifiche compiute da Dio, il cui primo atto è la
creazione del cosmo e dell’uomo, per arrivare alla nuova creazione dell’uomo in
Cristo morto e risorto: “il santo mistero di questa notte sconfigge il male,
lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti”.
Ciò che l’annuncio pasquale proclama con accenti lirici, viene in seguito ripreso
dalle letture bibliche, che in modo progressivo introducono i partecipanti nella
contemplazione dei principali eventi della storia salvifica: la creazione (Gen
1,1-2,2); il sacrificio di Abramo (Gen 22,1-18); il passaggio del Mar Rosso (Es
14,15-15,1); la Gerusalemme nuova, ricostruita dopo l’esilio (Is 54,5-14); la
chiamata ad una alleanza eterna (Is 55,1-11); la guida splendente della luce del
Signore (Bar 3,9-15.32,4-4); la promessa di un’acqua pura e purificatrice (Ez 36,16-28);
il battesimo, mistero pasquale (Rm 6,3-11); l’annuncio della Risurrezione (Mt
28,1-10). Più che una descrizione storica in senso moderno, la storia della
salvezza, tratteggiata dalle letture bibliche, è da interpretarsi come una
confessione di fede nell’azione salvifica di Dio e quindi come storia unitaria che
trova in Cristo senso pieno e compimento.
Le
orazioni che si recitano dopo le singole letture anticotestamentarie
interpretano questi brani in chiave cristologica, ecclesiale e sacramentale. Così
siamo invitati a passare: dalla prima creazione alla “creazione nuova”, più
mirabile ancora, che si opera nella nostra redenzione; dal gesto sacrificale di
Abramo sul figlio Isacco al sacrificio di Cristo; dalla liberazione del popolo
di Dio attraverso il Mar Rosso al battesimo sacramento della nostra liberazione;
dalla Gerusalemme nuova, ricostruita dopo l’esilio, alla Chiesa nuovo popolo di
Dio; dalla chiamata ad una alleanza eterna alla realtà di questa alleanza
sigillata nella Pasqua di Cristo e partecipata nei sacramenti; dall’invito a
camminare illuminati dalla Sapienza divina alla luce dello Spirito che ci è
stata elargita nel battesimo; dalla promessa di un’acqua pura e purificatrice
all’acqua battesimale che ci purifica e ci trasforma.
Dopo
le letture bibliche segue la liturgia battesimale che ci immerge nella morte di
Gesù per una vita nuova nello Spirito. Finalmente, la celebrazione eucaristica,
momento culminante della Veglia, che è in modo pieno il sacramento della
Pasqua, cioè memoriale del sacrificio della Croce e presenza del Cristo
risorto, completamento dell’iniziazione cristiana, pregustazione della Pasqua eterna.
La celebrazione della Pasqua significa quindi per noi tutti la ripresa di un
programma di vita che si realizza in un impegno permanente di rinnovamento mai
pienamente raggiunto. Questo è il frutto della Pasqua indicato dalla colletta
della messa: che “tutti i tuoi figli, rinnovati nel corpo e nell’anima, siano
sempre fedeli al tuo servizio”. Solo la nostra morte vissuta “in Cristo” potrà
compiere il senso dell’esistenza cristiana. Nel frattempo, si tratta di
rimanere fedeli a quel germe di vita nuova che abbiamo ricevuto nel battesimo e
cresce e si consolida nella eucaristia
fino al compiersi in noi della Pasqua definitiva.
DOMENICA
DI PASQUA: RISURREZIONE DEL SIGNORE – MESSA DEL GIORNO
9
Aprile 2023
At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 (oppure: 1Cor 5,6b-8); Gv 20,1-9 (oppure: Mt 28,1-10)
La
liturgia della domenica di Pasqua ci ricorda che il nostro agnello pasquale è
Cristo (cf. seconda lettura alternativa, sequenza, prefazione pasquale I e antifona
alla comunione); nel mistero della sua risurrezione dai morti si compiono tutte
le speranze di salvezza dell’umanità: è questo il giorno di Cristo Signore.
La
risurrezione di Cristo dai morti rappresenta il centro del mistero cristiano, è
la base e la sostanza della nostra fede. “Se Cristo non è risorto, vuota allora
è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Con queste
parole l’apostolo Paolo esprime il cuore di tutto il messaggio cristiano. Il
vangelo narra l’evento storico della risurrezione di Gesù, ripensato e raccontato
a scopo di fede: Giovanni sottolinea che si tratta di una vera risurrezione, ma
l’interesse prevalente dell’evangelista sembra essere di carattere ecclesiale; egli,
infatti, sottolinea anzitutto l’itinerario di fede dei discepoli nel Cristo
risorto. Nella prima lettura, ascoltiamo san Pietro che annuncia con decisione
al popolo il mistero della risurrezione del Signore di cui egli e gli altri
apostoli sono testimoni. Nella seconda lettura, san Paolo trae da questo evento
le conseguenze per una vita cristiana rinnovata.
Ci
possiamo soffermare brevemente sulla seconda lettura alternativa, tratta dalla
prima lettera ai Corinzi, dove l’affermazione centrale del brano è: “Cristo,
nostra Pasqua è stato immolato!”, parole riprese poi dall’antifona alla
comunione. Il prefazio pasquale I parla di Cristo “vero Agnello che ha tolto i
peccati del mondo”. La sequenza adopera l’espressione: “vittima pasquale”,
riferita sempre a Cristo, e aggiunge: “L’agnello ha redento il suo gregge”.
Nell’Antico Testamento l’immolazione dell’agnello era l’elemento essenziale
della celebrazione della Pasqua (cf. Es 12). Il Nuovo Testamento, e particolarmente
il vangelo di Giovanni, hanno considerato l’agnello pasquale come figura di
Gesù. Egli muore sulla croce nella Parasceve, nell’ora in cui nel tempio si
immolavano gli agnelli per la celebrazione della cena pasquale. Lo stesso
apostolo Giovanni nell’Apocalisse descrive la glorificazione dell’Agnello:
“L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza, onore, gloria e benedizione […] A Colui che siede sul trono e
all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5,
12-13). L’agnello sgozzato e glorificato è la nostra Pasqua!
Giovanni
Crisostomo, parlando dell’eucaristia, dice: “Noi offriamo sempre il medesimo
Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione
il sacrificio è sempre uno solo […] Anche ora noi offriamo quella vittima, che allora
fu offerta e che mai si consumerà” (Omelie
sulla Lettera agli Ebrei 17,3). Compiendo il rito pasquale gli Israeliti
sono stati partecipi, di generazione in generazione, della stessa liberazione e
salvezza sperimentata dai loro padri nella notte in cui il Signore li fece
uscire dall’Egitto. Celebrando l’eucaristia, i cristiani siamo partecipi
dell’Agnello pasquale, del “corpo donato” e del “sangue versato” di Cristo, quale
evento decisivo della liberazione di tutta l’umanità dalla forza del peccato e dal
potere della morte.
La
fede nella risurrezione, che è il cuore della fede cristiana, non coincide con una
semplice fiducia nella vita, concetto caro ad una certa cultura odierna, ma
credere nella vita che nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Cristo.
Essa consente di entrare nelle situazioni di morte guardando oltre la morte e
vivendo la risurrezione, ovvero amando e cercando di amare come Cristo ha amato
noi.