Si può convenire che la liturgia, come è uscita dalla riforma
conciliare, è essenzialmente una performance complessa in cui prevalgono i
linguaggi non verbali. È curioso che lo studio della liturgia anche in atenei
famosi, privilegi i linguaggi verbali e le fonti letterarie, come se questa
mediazione ecclesiale dipendesse dalla semantica. Anche sotto il profilo
squisitamente comunicativo è risaputo che solo il 7% dei messaggi
interpersonali dipenda dalle parole, il 38% dal tono della voce, il 55% dai
linguaggi non verbali del corpo. Mentre si scrivono infiniti commenti alle
letture bibliche, si dimentica che l’importante è l’intonazione della voce, la
magia della foné. Un intero universo, parzialmente sconosciuto, si apre
alla ricerca teologica per approfondire forse in modo più puntuale
l’affermazione di SC 7: “La liturgia è azione sacra per eccellenza, e nessuna
altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia
l’efficacia”.
Il vero snodo riguarda lo stretto legame teandrico della liturgia per
cui la sua efficacia non va posta esclusivamente sul conto di Dio, ma anche
sulla speciale azione antropologica del rito. Su questo fronte la ricerca è
appena avviata per un ripensamento di tutta la sacramentaria.
Fonte: Roberto Tagliaferri, I complessi linguaggi rituali non verbali,
in D. Messina – V. Trapani (ed.), “Per ritus. I linguaggi rituali alla prova
della complessità”, CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2022, pp. 117-118.