La matrice del Trono di Grazia è da cercare in
ambito liturgico secondo una radice abbastanza originale. Centrale nella Messa
è il cosiddetto “Canone eucaristico” al cui interno si celebra la consacrazione
del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo. Ora, l’avvio di questa
preghiera fondamentale suona in latino così: Te igitur (“Te dunque…”).
La prima lettera è dunque una T che è stata elencata tra i simboli trinitari
come Tau (detta anche “Croce di sant’Antonio”). Ebbene, nelle miniature
dei messali (ad esempio, quello splendido di Cambrai del 1120) questa lettera è
sorretta dalla figura del Padre, affisso ad essa è il Cristo crocifisso, mentre
tra i due vola la colomba dello Spirito Santo.
Con questa immagine si comunica la qualità trinitaria
della celebrazione eucaristica, dato che Dio Padre “ha tanto amato il
mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16), mentre lo Spirito li unisce in un
abbraccio d’amore. E’ anche di notare che in alcune miniature la colomba dello
Spirito è tratteggiata in modo tale da toccare con le sue ali la bocca del
Padre e quella del Figlio, testimoniando il mistero di comunione che vincola
tra loro le tre persone divine. Certo, non sarà facile per i nostri lettori
ammirare la pagina miniata del “Canone eucaristico” di un messale medievale. Ma
a tutti è, invece, possibile contemplare il pi famoso e affascinante Trono
di Grazia.
E’ sufficiente che, usciti
dalla stazione ferroviaria di Firenze, varchino la soglia dell’antistante
chiesa di Santa Maria Novella, uno scrigno di opere d’arte, tra le quali
indimenticabile è uno dei rari affreschi di Masaccio (1427 ca.). In esso la rappresentazione
della crocifissione di Cristo si trasforma in una sintesi trinitaria col Padre
che abbraccia idealmente il Figlio crocifisso, all’insegna della colomba dello
Spirito che sovrasta la scena. E’ interessante notare che la rappresentazione è inserita in un
contesto architettonico rinascimentale, così da risultare “contemporanea” alla
coppia dei committenti posti ai lati e agli stessi fedeli che sostavano in
preghiera in questo tempio fiorentino dei Domenicani.
Il Trono di Grazia, diffuso lungo i secoli, soprattutto a
partire dalla “peste nera” del 1347-1348 – quella del Decamerone di Boccaccio –, fu di volta in volta
arricchito di particolari, fino a raggiungere l’astrazione attraverso la
sostituzione delle tre persone trinitarie con tre ostie eucaristiche, a causa
dell’ambito liturgico a cui abbiamo accennato. Alcune realizzazioni rivelarono,
comunque, una loro originalità, come nel caso della tempera su tavola di
Nicoletto Semitecolo (1370 ca.) custodita al Museo Diocesano di Padova: è il
Padre stesso a reggere con le sue braccia aperte il Figlio crocifisso, facendo
quindi da croce vivente, mentre sempre si introduce tra loro la colomba dello
Spirito.
Su questa scia è spontaneo
l’invito a proseguire idealmente fino al Museo del Prado di Madrid e a cercarvi
un’imponente tela eseguita da El Greco tra il 1577 e il 1579. Noi siamo
abituati a riconoscere la Pietà con la figura
di Maria che sostiene sulle sue ginocchia il corpo morto del Figlio (quella di
Michelangelo nella basilica vaticana è negli occhi di tutti). Ebbene, il
celebre pittore originario di Creta e allievo di Tiziano crea invece una Pietà del Padre che regge tra le sue braccia il
cadavere del Figlio deposto dalla croce, mentre tra i due aleggia sempre la
colomba dello Spirito Santo.
Fonte: Gianfranco Ravasi, Tre. Divina aritmetica
(Storie di
numeri), il Mulino, Bologna 2023, 144-148.