L’attuazione
della libertà finita esige necessariamente una “maturazione” come capacità di
realizzarsi nel tempo e nella storia. Per questo ciascuno è consegnato a se
stesso senza essere lasciato in balia di se stesso. Cosicché “nel suo cammino
attraverso il mondo, sollecitato da situazioni e da incontri concreti, in
dialogo con la società e con lo spirito del tempo, l’uomo deve liberamente
attivare la propria predisposizione creaturale e divenire sempre più communio,
scambio di vita e di amore, al fine di pervenire a una maggiore somiglianza con
Dio” (Creshake, La fede nel Dio trinitario, 61).
Questa
somiglianza che non sarà mai perfetta, ma sempre in divenire, ci sarà infine
donata totalmente in quel cielo che non è altro che reciproca attesa e
nostalgia di tutto e di tutti. Questo nella coscienza che la stessa eternità
sarebbe ben più povera se mancasse qualcuno o anche qualcosa di uno dei
commensali (Origene, Omelie sul Levitico, 72). Come il Signore Gesù e
alla scuola del suo vangelo, siamo chiamati a conformare i nostri “modi” non a
quelli propri dei rabbini, bensì a quello dei bambini. In uno dei momenti
cruciali della catechesi offerta dal Signore Gesù ai suoi discepoli troviamo
una parola assai forte preceduta da un’emozione altrettanto forte – “si indignò”
annota Marco – per poi dire: “Lasciate che i bambini vengano a me, non
glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio”
(Ma 10,14). Questo comporta severamente di maturare nella capacità di fare
spazio fino a dare spazio ai “portatori di piccolezza” che sono la “porta
stretta” (Mt 7,13) attraverso cui deve passare la nostra fedeltà a Dio e
all’uomo.
Fonte:
Fratel MichaelDavide, Fratelli e sorelle in umanità (Meditazioni), EDB
2013, 114-115.