Es
19,2-6a; Sal 99; Rm 5,6-11; Mt 9,36 -10,8
In questa domenica la parola di Dio ci invita a
contemplare alcuni aspetti del mistero della Chiesa, precisamente la sua
dimensione di “nuovo popolo di Dio” raccolto dall’amore di Gesù con la
cooperazione dei suoi discepoli. Prefigurata dall’elezione sinaitica, la Chiesa
è definita dalla comunione che vincola a Cristo i credenti in lui. A tal fine,
Gesù chiama a sé i dodici e li invia (apostoli appunto, cioè inviati) ad
annunciare il Vangelo e ad operare segni visibili che confermano la reale
presenza del regno di Dio tra gli uomini.
Vale la pena soffermarsi in modo particolare
sul racconto evangelico ed esaminare le parole e i sentimenti di Gesù.
Anzitutto, vediamo che Gesù sente “compassione”, non rimane indifferente di
fronte alle folle che lo seguono. Dio aveva provato compassione per il popolo
d’Israele quando, in Egitto, era sotto il peso dell’oppressione; Gesù prova ora
compassione per le folle che sono stanche e senza una guida. La compassione è
un’espressione dell’amore che vuole la vita dell’altro. Gesù poi invita a
pregare. In questo modo, egli fa capire ai suoi discepoli che Dio solo è in
grado di rispondere efficacemente al bisogno dell’uomo. Finalmente, Gesù manda
i dodici apostoli in missione a guarire le infermità e ad annunziare che il
regno di Dio è vicino. In questo modo, Gesù fa capire che ormai il ruolo di
Israele è compiuto. Alle dodici tribù di Israele subentrano i dodici apostoli
scelti da Cristo e inviati a raccogliere gli uomini nel nuovo popolo di Dio.
All’inizio di questo nuovo popolo non stanno dodici fratelli legati tra loro da
vincoli di sangue, ma dodici persone unite solo dai vincoli della fede in
Cristo. Il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, non è una realtà etnica, ma una
realtà di fede. Attraverso la fede si stabilisce un forte legame con Gesù che
diventa un fortissimo legame con gli altri credenti. Nasce così la Chiesa, nuovo
popolo di Dio. Tutto ciò che nella prima lettura si afferma del popolo di
Israele, “regno di sacerdoti”, “nazione santa”, si compie pienamente nella
Chiesa. Ciò significa che la Chiesa è chiamata ad esprimere una presenza
profetica tra gli uomini, a testimoniare dentro alla storia le opere della
giustizia e della pace, frutto della riconciliazione con Dio ottenuta per mezzo
di Gesù Cristo morto e risorto per noi (cf. seconda lettura).
In sintesi, possiamo affermare che la
risurrezione di Cristo è il compimento della missione di Israele, perché nel
Signore risorto Dio offre a tutti gli uomini di partecipare al banchetto del
regno dei cieli. Di questa grazia i discepoli sono testimoni e dispensatori con
la gratuità stessa dell’amore di Dio. Cristo “chiama” ma per “inviare”; non
vuole creare gruppi elitari, sette di perfetti, ma un fermento per le masse,
una comunità di persone impegnate a lottare contro ogni forma di male. Questa è
stata la sua vita e così deve essere quella dei suoi discepoli.
L’eucaristia prefigura l’unione con Cristo e realizza
l’unità nella Chiesa (cf. l’orazione dopo la comunione).