Is
61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Le
tre letture bibliche dell’odierna domenica contengono altrettanti messaggi, i
quali sono da considerarsi complementari. Giovanni Battista annuncia che il
Messia viene tra noi come uno “sconosciuto”. Isaia lo presenta come Messia dei
“poveri”. Paolo ci invita a “gioire” per la venuta del Messia e ad andargli
incontro. Questi temi si collocano come un prolungamento naturale del messaggio
della domenica precedente: la gioia che scaturisce dal cuore dell’uomo che
riconosce e accoglie Cristo che viene e che è presente nella storia esige una
condivisione con i fratelli e, in particolare, un atteggiamento di servizio ai
più poveri, come naturale componente della conversione e logica conseguenza
dell’incontro con Cristo. Priva di questi segni, la conversione stessa si
esaurisce in una sorta di velleitarismo spiritualistico, destinato a rimanere
infruttuoso.
Il
tema della gioia è presente già nell’antifona d’ingresso: “Rallegrateci sempre
nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Fil 4,4.5). Lo
stesso tema troviamo nell’orazione colletta e in qualche antifona della Liturgia delle ore. La gioia di cui
parlano i testi odierni non è una chimera e neppure un sentimento passeggero
frutto di un’emozione e di una esaltazione momentanee; è invece una realtà
profonda che procede dall’essere stati salvati e dal sapersi, perciò, in pace
con “il Dio della pace” (1Ts 5,23), cioè inseriti in quella nuova ed eterna
alleanza inaugurata nella storia umana con l’apparizione del Figlio di Dio. È
questa presenza, questa “vicinanza”, anzi questa intimità di Dio con l’uomo,
oramai liberato, a determinare la gioia autentica, a inaugurare la vera “festa”
cristiana che non conosce tramonto.
La
comunione con Cristo, che realizza in pieno la “visita” di Dio al suo popolo
per salvarlo non può rimanere un fatto intimistico, che si esaurisce in una
sorta di sterile soddisfazione o di appagamento interiore. Per il fatto che Dio
è Padre di tutti e vuole tutti salvi, essa non può non estendersi agli altri.
Gesù è mandato “per portare il lieto annuncio ai miseri”, per annunciare
l’intervento di Dio che salva tutti coloro che sono nella tribolazione o nel bisogno:
gli affamati, i prigionieri, coloro che hanno il cuore spezzato, per
“promulgare l’anno di grazia del Signore”.
Questo “anno di grazia” si riferisce all’anno del giubileo (cfr. Lv 25),
quell’anno cinquantesimo in cui venivano condonati i debiti e ciascuno
rientrava in possesso delle proprietà che aveva dovuto alienare. Il giubileo
intende ricostituire quindi la condizione originaria d’integrità delle persone
cancellando tutto quello che aveva potuto guastarla. È una prospettiva stupenda
secondo la quale comprendere la vita e la missione di Gesù: egli è venuto per
liberare l’uomo da ogni malattia e infermità e riportarlo all’integrità della
sua condizione iniziale, quando era stato creato a immagine e somiglianza di
Dio (cf. Gen 1,26-27).