La riforma liturgica di Paolo
VI ha compiuto più di 50 anni. Alcuni si domandano se si tratta di una liturgia
che non parla più a gran parte dei fedeli (cfr. Franco Garelli in Credere
oggi 3, 2023, pp. 9-20). Si afferma che molti sono stanchi della liturgia standard, una liturgia
sentita come fredda, astrusa, difficilmente comprensibile, lontanissima dalla
sensibilità culturale odierna, con le omelie che sono spesso piatte e noiose,
lontane dai problemi quotidiani. E quindi nella cerchia dei credenti più
impegnati ci sarebbe una crescente domanda di una liturgia di qualità.
Si tratta di accuse forse
ingenerose, in quanto frutto di posizioni che sottovalutano le difficoltà di vivere
e far vivere il mistero celebrato. Infatti, non si deve dimenticare
l’importanza della formazione liturgica dei fedeli, in gran parte carente, a
cui la Costituzione sulla liturgia vuole che sia dedicata una specialissima
cura (cfr. SC n.14). La riforma liturgica è stata
necessaria, ma non è sufficiente. Occorre mettere in atto una formazione che
educhi a celebrare. In questo contesto, Romano Guardini affermava che il primo
compito della formazione liturgica è che l’uomo
diventi nuovamente capace di simboli, capace di leggere i simboli,
qualcosa in cui l'uomo moderno è analfabeta. C’è anche il rischio che la
domanda di una liturgia di qualità sia alimentata più da attese umane che da
prospettive che ci trascendono, più dal desiderio di trovare delle conferme
terrene che dalla disponibilità a essere aperti alle sollecitazioni dello
Spirito. È il rischio che si corre partecipando a liturgie “significative” in
quanto sono più occasione di conforto che di sconvolgimento. Una sana e feconda
liturgia è quella che innesca una lotta interiore e tende a trasformare la
vita.