At
2,1-11; Sal 103 (104); Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15
La prima lettura narra l’evento di cui facciamo
oggi memoria: alla sera della festa ebraica di Pentecoste, cinquanta giorni
dopo pasqua, gli apostoli con Maria e gli altri discepoli di Gesù erano
raccolti in preghiera nel cenacolo a Gerusalemme. All’improvviso apparve lo
Spirito Santo in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro.
In questo modo si adempiva la promessa che Gesù aveva fatto prima di salire in
cielo, di cui parla anche il vangelo d’oggi.
Per gli Ebrei la festa della Pentecoste
era inizialmente una gioiosa festa contadina chiamata “festa della mietitura” o
“festa dei primi frutti”. Si celebrava il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua e
indicava l’inizio della mietitura del grano. Lo scopo primitivo di questa festa
era quindi il ringraziamento a Dio per i frutti della terra. Però col passar
delle generazioni, gli Ebrei diedero alla festa un significato nuovo. Nel
giorno di Pentecoste s’iniziò a commemorare il dono della Legge di Dio sul
Sinai. Gli Ebrei passavano la vigilia della festa leggendo la Legge che Dio
stesso aveva consegnato per loro a Mosè.
La Pentecoste cristiana ricorda un
altro dono, non una legge scritta ma lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre
e del Figlio.
Nel secondo discorso d’addio, riportato dal vangelo d’oggi, Gesù promette agli
apostoli l’invio dello “Spirito della verità”, espressione ripetuta ben due
volte. “Della verità”, cioè in stretto rapporto con la verità rivelata da Gesù
Cristo. Lo Spirito è il dono di comprensione piena di tutta la verità rivelata
da Gesù, interpretandola in riferimento agli eventi che man mano accadranno fino
alla fine dei tempi. Dice Gesù agli apostoli: “Quando verrà lui, lo Spirito
della verità, vi guiderà a tutta la verità”, ci permetterà cioè di comprendere
in profondità le parole e i gesti del Signore.
Lo Spirito aiuta ad introdursi sempre più
nell’intimo della verità portata da Cristo; e questa penetrazione non si
risolve in un puro fatto conoscitivo, ma si attua in un profondo rapporto di
vita, quale risultato dell’aver accolto la parola di Cristo come fermento
lievitante di tutta la propria esistenza. Lo Spirito, quindi, non è concorrente
rispetto al ruolo di Gesù, ma rappresenta il vertice e il compimento della sua
missione.
Della vita nuova che scaturisce dal dono dello
Spirito ci dà una descrizione essenziale san Paolo nella seconda lettura. Tutti
noi che abbiamo ricevuto lo Spirito, dobbiamo camminare “secondo lo Spirito”.
Lo Spirito è fonte e garanzia di libertà per quelli che si lasciano guidare dal
suo impulso interiore. Siccome tutta la volontà di Dio è concentrata nel
precetto dell’amore, per quelli che seguono l’impulso interiore dello Spirito
non c’è bisogno del controllo esterno della legge, perché ne attuano spontaneamente
tutte le esigenze. Perciò abbiamo cantato: “Vieni Santo Spirito, riempi i cuori
dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore” (canto al vangelo).
La Pentecoste ebraica ricordava il dono della Legge sul Sinai. La Pentecoste
cristiana celebra il dono dello Spirito, che effonde nei nostri cuori l’amore
di Dio, la nuova legge interiore che deve guidare la vita del cristiano. Nella Pentecoste
cristiana il cenacolo appare come il nuovo Sinai e il dono della Legge, che
inaugurò a suo tempo il periodo dell’antica alleanza, è sostituito ora con il
dono dello Spirito, che inaugura invece l’era della nuova alleanza.
Dio vivifica e rinnova continuamente ogni cosa
col soffio dello Spirito Santo. Soltanto la durezza del nostro cuore può
rendere ciechi e oscurare questa presenza vivificante dello Spirito.