Messa vespertina della vigilia
Ger 1,4-10; Sal 70; 1Pt 1,8-12; Lc 1,5-17
Le tre letture bibliche fanno riferimento a
questo ruolo profetico del Battista. Il brano della prima lettura riporta la
vocazione di Geremia, chiamato ad essere profeta quando era ancora di giovane
età in un momento in cui il popolo di Dio attraversava uno dei più difficili
sconvolgimenti della sua storia. Leggendo la vocazione di Geremia si comprende
meglio la vocazione di Giovanni, anch’egli chiamato dal Signore “fin dal seno
di sua madre” (vangelo) in un momento cruciale della storia di Israele. Geremia
è chiamato “per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per
edificare e piantare”. Giovanni Battista, come Geremia, è inviato e consacrato
da Dio per annunciare contemporaneamente il giudizio e la redenzione del
popolo.
L’ufficio profetico non è legato alla famiglia
o ad un ordine legale, come quello dei sacerdoti e dei leviti, ma è liberamente
direttamente trasmesso da Dio stesso, come missione. “Attraverso i profeti, Dio
forma il suo popolo nella speranza della salvezza, nell’attesa di una alleanza
nuova ed eterna destinata a tutti gli uomini e che sarà inscritta nei cuori” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
64). Queste parole trovano una sua eminente espressione nella missione di
Giovanni Battista: Egli “camminerà innanzi [al Signore] con lo spirito e la
potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli
alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”
(vangelo). Come i profeti antichi, Giovanni traduce la legge in termini di
esistenza vissuta, annunzia l’imminenza dell’ira e della salvezza e,
soprattutto, discerne il Messia presente senza essere conosciuto e lo indica.
Giovanni chiude l’economia dell’antica alleanza, succedendo all’ultimo dei
profeti, Malachia (V secolo a. C.), di cui compie l’ultima predizione: “Io
invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del
Signore” (Ml 3,23).
I profeti sono amici di Dio che, animati nel
profondo dallo Spirito, indicano al popolo il senso degli eventi, ammoniscono,
scuotono. Più che predire il futuro, i profeti hanno il dono di capire e
interpretare il presente. Non hanno paura di dire anche delle verità scomode,
che contrastano con l’indirizzo delle istituzioni politiche e religiose e che
possono mettere in pericolo di vita di chi le annunzia. Anche Gesù viene
considerato un profeta dai suoi contemporanei (cf. Gv 6,14) ed egli stesso lo
afferma di sé (cf. Lc 13,33). Anzi, Gesù non è solo un profeta, ma il profeta,
l’inviato dal Padre per annunciare agli uomini la buona novella della salvezza
(cf. Lc 4,24). I profeti esistono ancora, sono presenti in mezzo a noi. Il
Vaticano II afferma che tutti i cristiani sono chiamati a partecipare al ruolo
e alla missione profetica di Cristo. La profezia è quindi un dono e una
dimensione comune dell’esistenza cristiana. Questo dono si manifesta in modo
particolarmente fecondo in alcuni santi e in semplici e umili credenti che
vivono il loro battesimo in profondità. La profezia non mancherà mai nella
comunità ecclesiale come forma permanente di memoria che obbliga a non assumere
mai nella vita alcun assoluto, ma piuttosto a relativizzare ogni cosa davanti
all’unico necessario.
La solennità della Natività di san Giovanni
Battista è situata sei mesi prima del Natale (in omaggio al testo di Lc 1,36) e
tre mesi dopo l’Annunciazione. Già nel secolo III, fondandosi sul simbolismo
del Cristo-sole, nella riflessione sulla storia della salvezza fu dedicata
particolare attenzione ai solstizi; così si arrivò all’opinione che il Battista
fosse concepito all’equinozio di autunno e nato al solstizio di estate, poiché
nel solstizio di estate la lunghezza dei giorni incomincia a diminuire, mentre
riprende ad aumentare dopo quello di inverno, in cui celebriamo la nascita di
Gesù. La tradizione dei Padri vede in questo una conferma alle parole del
Battista: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). Al momento
dovuto, Giovanni Battista scomparirà dalla scena per far posto a Cristo.
Le letture bibliche e le preghiere della
liturgia odierna sottolineano il ruolo di Giovanni come “Precursore”, come
colui che “prepara”, “annuncia”, “indica”, “rende testimonianza alla luce” che
è Cristo Signore. Egli, come dice sant’Agostino, “sembra sia posto come un
confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo” (Discorso proposto dall’Ufficio delle letture). Giovanni Battista è
l’ultimo profeta di Israele e il primo del nuovo Israele.
La prima lettura riporta un brano del secondo
canto del “Servo del Signore”, misteriosa figura messianica che viene
presentata come un profeta, oggetto di una predestinazione divina; la sua
missione è estesa non solo a Israele, ma anche alle nazioni per illuminarle con
la luce della salvezza. Il brano di Isaia è riferito anzitutto a Cristo. Ma
anche di Giovanni si può dire: “il Signore dal seno materno mi ha chiamato”.
Anche il Precursore è stato chiamato ad essere “testimone della luce”: “Egli
non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce” (Gv 1,8). Sulla
stessa linea, nel brano evangelico, san Luca, nel narrare la nascita di
Giovanni, stabilisce un certo parallelismo con quella di Cristo, ma al tempo
stesso fa emergere la totale finalizzazione del Precursore al Salvatore. La
frase finale: “E davvero la mano del Signore era con lui” (v. 66) e l’aggiunta
del v. 80 sulla crescita mirabile del bambino evocano le stesse circostanze e
realtà che si ripeteranno in modo pieno in Cristo Gesù. Giovanni ci si presenta
come vera icona di Cristo.
La seconda lettura riporta un brano del
discorso tenuto da Paolo ad Antiochia. L’Apostolo sottolinea il ruolo di
Precursore del Messia che Giovanni ha saputo interpretare con fedeltà: “Io non
sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non
sono degno di slacciare i sandali”. Giovanni ha avuto l’umiltà e la saggezza di
sentirsi solo strumento in ordine a Cristo. Non ha preteso di attirare su di sé
gli sguardi degli uomini, ma si è preoccupato unicamente di orientarli verso il
Cristo. Ognuno di noi nella storia ha un suo ruolo da compiere, una sua
missione da espletare. Ruolo e missione che non devono essere fraintesi o
indebitamente esaltati.
Come ci ricorda il prefazio della messa,
Giovanni non solo è stato eletto e consacrato “a preparare la via a Cristo
Signore”, ma anche ha indicato al mondo “l’Agnello del nostro riscatto”.
L’orazione dopo la comunione riprende lo stesso tema quando afferma che la
Chiesa, “nutrita alla cena dell’Agnello”, è invitata a riconoscere “l’autore
della sua rinascita, Cristo, che la parola del Precursore annunziò presente in
mezzo agli uomini”.