Translate

venerdì 12 agosto 2016

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 14 Agosto 2016

 



Ger 38,4-6.8-10: I capi dissero al re: “si metta a morte Geremia…”

Sal 39: Sono venuto a portare il fuoco e la divisione

Eb 12,1-4: Egli (Gesù) si sottopose alla croce…”

Lc 12,49-53: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra”

           

Ogni brano della Scrittura forma parte di un grande mosaico che narra la storia della nostra salvezza, una storia che, per capirne il senso, deve essere interpretata nella sua globalità. Le parole difficili di Gesù riportate dal vangelo d’oggi vanno perciò interpretate in un contesto più ampio. Quando Gesù dice: “pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”, queste severe parole, lette nel contesto del messaggio evangelico nella sua globalità, ci ricordano che la scelta di Dio e del suo progetto è una opzione che va fatta con coraggio e consapevolezza, senza ambiguità, pronti ad affrontare, se necessario per essere fedeli alla scelta, contrasti e anche lacerazioni.

 

Nella prima lettura, ci viene proposta la figura del profeta Geremia, uomo pacifico per eccellenza, amante della concordia, nemico giurato di ogni guerra e di ogni contrasto. Eppure, la parola di questo profeta è scomoda, bruciante. Come quella di Gesù, colpisce gli inerti, i soddisfatti, gli illusi, li scuote dai loro sogni e dai loro miti. Geremia proclama il giudizio di Dio; comprende l’inutilità della resistenza all’esercito di Nabucodonosor che assedia Gerusalemme e invita a porre fine a quella inutile strage. Ma proprio per questo viene preso per traditore, accusato di non fare gli interessi del popolo e quindi condannato a morire in una cisterna fangosa. Il profeta resta fedele alla sua missione e continua a fidarsi di Dio. L’intervento di un cortigiano lo salverà dalla morte.

 

Vivere e proclamare la propria fede non è sempre appagante dal punto di  vista umano. La fedeltà a Dio non porta di per se successo e gloria umana. La vicenda dolorosa del profeta Geremia non è soltanto figura della vita di Cristo, ma anche della vita di quanti scelgono di seguire Cristo e il suo vangelo. Il brano della lettera agli Ebrei della seconda lettura, lo ricorda ad una comunità rassegnata e avvilita: “Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo”. La fedeltà alla parola di Dio comporta una lotta con se stessi e con le strutture ingiuste e peccatrici che ci assediano. Occorre quindi costanza, fedeltà, coraggio, vigilanza e decisione per non essere in balia di quella malattia, tipica del nostro tempo, che si chiama superficialità o banalità o inconsistenza. La pace cristiana non è senza tensioni e lacerazioni, non va confusa col quieto vivere o con la tranquillità del disimpegno. Essa è una precisa e coerente scelta di valori senza compromessi e senza ambiguità con lo sguardo  sempre fisso, però, in “Dio, nostra difesa” (antifona d’ingresso: Sal 83,10).