Il card. Robert Sarah ha pubblicato recentemente
un libro dal titolo La force du silence.
Contre la dictature du bruit, Fayard 2016. In questa occasione, nel blog La nef è apparsa una lunga intervista
sull’argomento del silenzio in cui il cardinale risponde ad alcune domande
fatte dall’intervistatore. Sono pagine che meritano la nostra attenzione, in
particolare quelle che riguardano la liturgia. Il cardinale deplora giustamente,
tra l’altro, le celebrazioni piene di parole e di commenti in cui manca “a
tempo debito, il sacro silenzio”, come vuole Sacrosanctum Concilium, 30. Qui mi limito a proporre il testo in
lingua originale di una delle domande e risposte dell’intervista in cui il
cardinale parla dell’offertorio della Messa.
Vous défendez ardemment la constitution
conciliaire sur la liturgie en déplorant qu’elle ait été si mal appliquée.
Comment l’expliquez-vous avec le recul des cinquante dernières années ? Les autorités
dans l'Eglise n'en sont-elles pas les principales responsables ?
Je crois
que nous manquons d'esprit de foi quand nous lisons le document du Concile.
Envoutés par ce que Benoît XVI appelle le Concile des médias, nous en faisons
une lecture trop humaine, cherchant les ruptures et les oppositions là où un
cœur catholique doit s'efforcer de trouver le renouveau dans la continuité.
Plus que jamais, l'enseignent conciliaire contenu dans Sacrosanctum concilium
doit nous guider. Il serait temps de nous laisser enseigner par le Concile
plutôt que de l'utiliser pour justifier nos soucis de créativité ou pour
défendre nos idéologies en utilisant les armes sacrés de la liturgie. Un seul
exemple : Vatican II a admirablement défini le sacerdoce baptismal des laïcs
comme la capacité à nous offrir en sacrifice au Père avec le Christ, pour
devenir, en Jésus, des «Hosties saintes, pures et immaculées». Nous avons là le
fondement théologique de la véritable participation à la liturgie.
Cette
réalité spirituelle devrait se vivre en particulier à l'offertoire, ce moment
où tout le peuple chrétien s'offre, non pas à côté du Christ, mais en lui, par
son sacrifice qui sera réalisé à la consécration. La relecture du Concile nous
permettrait d'éviter que nos offertoires soient défigurés par des
manifestations qui tiennent plus du folklore que de la liturgie. Une saine
herméneutique de la continuité pourrait nous conduire à remettre en honneur les
anciennes prières de l'offertoire relues à la lumière de Vatican II.
Non è la prima volta che il card. Sarah parla del significato
dell’offertorio della Messa e propone di riabilitare nella forma ordinaria del
rito romano le antiche preghiere dell’offertorio presenti nel Messale del 1962.
Non è neppure la prima volta che io rispondo a queste proposte. Qui vorrei solo
esprimere la mia perplessità, con il dovuto rispetto e con parresia, su quanto
afferma il cardinale quando dice che l’offertorio è “ce moment où tout le peuple chrétien s'offre, non pas à côté du Christ,
mais en lui, par son sacrifice qui sera réalisé à la consécration”. Secondo me, questa sopravalutazione dell’offertorio
non ha a suo favore una “tradizione” costante nella storia della Messa. Il vero
offertorio si realizza nella preghiera eucaristica: “Accetta anche noi, Padre santo,
insieme all’offerta del tuo Cristo” (Preghiera
eucaristica della riconciliazione II); “Accogli, o Padre, con il sacrificio
di Gesù, l’offerta della nostra vita” (Preghiera
eucaristica per la messa dei fanciulli III); “Egli faccia di noi un sacrificio
a te gradito” (Preghiera eucaristica III);
“a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico
calice, concedi che [...] diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua
gloria” (Preghiera eucaristica IV); “Accetta
con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e
tutta la tua famiglia” (Preghiera
eucaristica I); ecc.
Come ho ricordato più volte, lo stesso teologo
Joseph Ratzinger diceva delle antiche preghiere dell’offertorio: “Erano preghiere
belle e profonde, ma si deve pur riconoscere che esse comportavano un certo
grado di equivocabilità. Esse erano sempre formulate come anticipazione
dell’evento vero e proprio del canone” (Il Dio vicino. L’eucaristia cuore
della vita cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 67-68). Aggiungo
io che la soppressione di queste preghiere è stata fatta in ossequio a quanto
decreta Sacrosanctum Concilium, al n. 50, quando dice: “Il rito della
messa sia riveduto in modo che si manifestino più chiaramente la natura
specifica delle singole parti e la loro mutua connessione…”
M. A.