Ogni credente
è definito dalla sua appartenenza e ne diviene consapevole appropriandosi
soggettivamente della sua tradizione. Per questa ragione ogni comunità – non
solo religiosa – ha riti d’iniziazione e d’avviamento, possiede un sistema pedagogico
di trasmissione per cui la fede dei padri trapassa nei figli. Ma ogni eredità,
come dice Hegel, è un ricevere e un far fruttare; ciò vuol dire che si perpetua
solo se gli individui la assumono in proprio e la rinnovano.
C’è quindi
una modalità di credere che è oggettivamente un appartenere, soggettivamente un
aderire. È evidente che ove questa adesione non avviene il credo si dissolve. È
tipico delle appartenenze – specie in età di secolarizzazione – che vengano
meno non tanto per opposizione né per negazione, ma per semplice estenuazione:
abbandono progressivo delle pratiche, disserzione dalla comunità e dai riti,
conoscenza sempre più indeterminata e generica dei miti fondatori. Le credenze
si perpetuano nel tempo fino a quando riti, miti, regola di condotta si
mostrano adeguati ad affrontare le emergenze della vita, e soprattutto a dare
senso al proprio stare al mondo e, ancora di più, all’esistenza del mondo
stesso.
Cf. Salvatore
Natoli, Il rischio di fidarsi (Voci),
Il Mulino, Bologna 2016, pp. 145-148.