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domenica 22 gennaio 2017

TROPPE PAROLE!



Il rito va celebrato, non spiegato. Il linguaggio liturgico (parole, gesti, silenzi), se è osservato nel modo dovuto, è già da per sé una vera catechesi che introduce nella comprensione del mistero.

1. Le parole sono quelle del libro liturgico, non quelle che, come capita frequentemente, il sacerdote inserisce talvolta qua e là. Solo in tre casi, il Messale prevede questi liberi interventi:

Si prevede che “il sacerdote o il diacono o un ministro laico possano fare una brevissima (brevissimis verbis) introduzione alla messa del giorno” (OGMR 50; anche 124).

Nella preghiera universale o preghiera dei fedeli (cf. OGMR 71).

Alla fine della messa, prima del saluto liturgico e della benedizione, si prevede la possibilità di “brevi avvisi, se necessari” (OGMR 90).

Non di rado, si fanno (lunghe) introduzioni al Padrenostro. Il Messale italiano invece propone quattro testi, a scelta, testi ricchi di contenuto, che vanno rispettati.

2. L’assemblea compie i gesti indicati dal Messale, gesti non di rado omessi o fatti malamente: segni della croce, inchini, posizioni diverse (in piedi, in ginocchio, seduti), ecc.

Per quanto riguardo i gesti, le precisazioni della CEI permettono a tutti i fedeli che compongono l’assemblea di tenere le braccia allargate durante la recita o canto del Padrenostro, conformando così il loro atteggiamento a quello del sacerdote che presiede l’eucaristia (cf. Messale Romano, Precisazioni CEI, 1).

3. La natura dei silenzi previsti dal Messale dipende dal momento in cui questi hanno luogo nel corso della celebrazione: durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera è un silenzio che aiuta al raccoglimento; dopo le letture e l’omelia, è un silenzio che invita a meditare brevemente quanto è stato ascoltato; dopo la comunione intende favorire la preghiera di lode e supplica (OGMR 45).

In genere, le celebrazioni con molte parole e commenti (non previsti dal libro liturgico) sono al tempo stesso le celebrazioni in cui il silenzio è praticamente assente.

C’è una vecchia barzelletta che dice: “con un terrorista si può dialogare, ma con un liturgista no”. La mia esperienza mi insegna invece che quando i “liturgisti” parliamo al clero nelle diverse diocesi, molte volte è come parlare nel deserto perché c’è una parte del clero che, oltre ad ignorare la normativa liturgica, si considera padrone della celebrazione e la gestisce di conseguenza.