Il
rito va celebrato, non spiegato. Il linguaggio liturgico (parole, gesti,
silenzi), se è osservato nel modo dovuto, è già da per sé una vera catechesi
che introduce nella comprensione del mistero.
1. Le parole sono quelle del libro liturgico, non quelle
che, come capita frequentemente, il sacerdote inserisce talvolta qua e là. Solo
in tre casi, il Messale prevede questi liberi interventi:
Si
prevede che “il sacerdote o il diacono o un ministro laico possano fare una
brevissima (brevissimis verbis)
introduzione alla messa del giorno” (OGMR 50; anche 124).
Nella
preghiera universale o preghiera dei fedeli (cf. OGMR 71).
Alla
fine della messa, prima del saluto liturgico e della benedizione, si prevede la
possibilità di “brevi avvisi, se necessari” (OGMR 90).
Non
di rado, si fanno (lunghe) introduzioni al Padrenostro. Il Messale italiano invece
propone quattro testi, a scelta, testi ricchi di contenuto, che vanno
rispettati.
2.
L’assemblea compie i gesti indicati dal Messale,
gesti non di rado omessi o fatti malamente: segni della croce, inchini,
posizioni diverse (in piedi, in ginocchio, seduti), ecc.
Per
quanto riguardo i gesti, le precisazioni della CEI permettono a tutti i fedeli
che compongono l’assemblea di tenere le braccia allargate durante la recita o
canto del Padrenostro, conformando così il loro atteggiamento a quello del
sacerdote che presiede l’eucaristia (cf. Messale
Romano, Precisazioni CEI, 1).
3. La
natura dei silenzi previsti dal Messale dipende
dal momento in cui questi hanno luogo nel corso della celebrazione: durante
l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera è un silenzio che aiuta al raccoglimento;
dopo le letture e l’omelia, è un silenzio che invita a meditare brevemente
quanto è stato ascoltato; dopo la comunione intende favorire la preghiera di lode
e supplica (OGMR 45).
In
genere, le celebrazioni con molte parole e commenti (non previsti dal libro
liturgico) sono al tempo stesso le celebrazioni in cui il silenzio è
praticamente assente.
C’è
una vecchia barzelletta che dice: “con un terrorista si può dialogare, ma con
un liturgista no”. La mia esperienza mi insegna invece che quando i
“liturgisti” parliamo al clero nelle diverse diocesi, molte volte è come
parlare nel deserto perché c’è una parte del clero che, oltre ad ignorare la
normativa liturgica, si considera padrone della celebrazione e la gestisce di
conseguenza.