Is 55, 6-9; Sal 144
(145); Fil 1,20c-24.27°; Mt 20,1-16
I
motivi presenti nel Sal 144 sono quelli comuni ai salmi di lode. In esso si
fondono lode, ringraziamento e fiducia nel Signore amoroso e tenero nei
confronti delle sue creature. La lode diventa allora un’espressione di
meraviglia, movimento interiore di riconoscenza e di ringraziamento. Il
salmista si rivolge ad un Dio Signore che “è vicino a chiunque lo invoca, a
quanti lo invocano con sincerità”. Dio Padre si è reso vicino a noi soprattutto
nel mistero dell’Incarnazione del suo Figlio. L’evento storico
dell’Incarnazione ci permette di comprendere il mistero di Dio attraverso i
tratti umani di Gesù di Nazaret. Nel volto umano di Gesù si rispecchia infatti
il volto di Dio (cf. Gv 14,9-10).
Le
letture bibliche di questa domenica propongono alla nostra riflessione il
misterioso modo di agire di Dio nei nostri confronti. Dio non giudica gli uomini
con il metro con cui noi giudichiamo sovente i nostri simili. Perché, come dice
il profeta Isaia nella prima lettura, i pensieri di Dio non sono i nostri
pensieri e le nostre vie non sono le sue vie: è un Dio che ha misericordia e
perdona largamente. Questo particolar modo di agire di Dio è illustrato da Gesù
nella parabola evangelica dei lavoratori della vigna, una parabola volutamente
sconcertante, per indurre gli ascoltatori a rettificare eventualmente la loro
idea della giustizia divina e a interrogarsi sul modo in cui comprendono e
svolgono il loro servizio del Signore. Possiamo interpretare la parabola come
una risposta di Gesù alla domanda che Pietro e i suoi discepoli gli hanno
rivolto poco prima: “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa ne
ricaveremo?” (Mt 19,27). Il proprietario della vigna ricompensa ugualmente
operai che hanno compiuto lavori di diversa durata: alcuni hanno lavorato una
giornata intera, altri un poco meno, altri poi un’ora sola; tutti però vengono
retribuiti in modo uguale. Il particolare dell’uguaglianza di retribuzione
nella parabola, mira a sottolineare che non c’è proporzione fra ciò che fa
l’uomo e ciò che dona Dio. Il padrone della parabola distribuisce i salari non
secondo la misura delle prestazioni degli operai, ma in vista del loro
benessere e della loro gioia. Dio, infatti, non è un padrone che dà un
“salario”, ma un padre che elargisce un “dono”. Dio non è un compagno d’affari,
con cui possiamo contrattare la nostra salvezza. La salvezza non va barattata,
ma accettata come dono. Il procedere così generoso di Dio ha come unica
spiegazione la sua bontà infinita e la sua iniziativa libera e spontanea; la
grandezza di Dio non si può misurare: “senza fine è la sua grandezza” (cf.
salmo responsoriale).
Noi
siamo inclini a definire i reciproci rapporti in base alla prestazione
effettiva, parametro che inconsciamente trasferiamo alle vicende che riguardano
anche i nostri rapporti con Dio. Il Signore invece agisce secondo criteri di
gratuità. Davanti alla misericordia sconfinata di Dio ogni uomo si trova nella
medesima posizione. La grettezza del nostro cuore fa sì che sia per noi
difficile capire l’amore di un Dio sempre pronto a perdonare, sempre pronto ad
accogliere chiunque apra il cuore alla sua grazia, in ogni momento. Se siamo
veramente discepoli di Cristo (cf. seconda lettura), sapremo interpretare la
nostra vita secondo criteri di gratuità e di donazione agli altri, i valori che
nel Cristo hanno incarnato l’autentico volto del Padre.
L’Eucaristia
esprime in modo sublime il mistero del donarsi gratuito di Dio a noi.
Presentiamo al Signore un po’ di pane e di vino e abbiamo in dono un “cibo di
vita eterna” e una “bevanda di salvezza”.