Una delle accuse che alcuni ambienti tradizionalisti fanno alla
riforma della messa di Paolo VI è che ha distrutto la struttura della messa
tradizionale che risale a san Gregorio Magno. Così si è espresso, ad esempio, Claudio
Crescimanno il 05-09-2017 nella Nuova Bussola: “è
vero che il messale in uso fino alla riforma postconciliare è stato codificato
da san Pio V (XVI secolo), ma l’ordo, cioè la struttura e i testi, della
messa tradizionale risale a san Gregorio Magno (VI secolo) tanto che essa può a
giusto titolo essere chiamata anche messa gregoriana”.
Si può provare invece, con i dati storici in mano, che
l’ordinario della messa di Paolo VI somiglia più all’ordinario della
messa in uso nel tempo di Gregorio Magno di quanto somigli ad esso l’ordinario
della messa di Pio V.
Anche se è difficile determinare in concreto quali riforme
liturgiche Gregorio Magno (590-604) abbia realizzato, alcuni dati
sull’ordinario della messa nei secoli VI/VII li abbiamo. Se ci soffermiamo sul
cuore della messa, la cosiddetta liturgia eucaristica, notiamo che fino al
secolo VIII nell’offertorio della messa troviamo una sola orazione alla fine
del rito: l’orazione super oblata, detta più tardi secreta.
Nel Messale di Pio V, l’offertorio contiene numerose orazioni, 8 nell’edizione
del 1962, senza contare le 4 che accompagnano l’incensazione nelle messe
solenni (Suscipe, sancte Pater; Deus, qui humanae substantiae; Offerimus
tibi, Domine; In spiritu humilitatis; Veni, sanctificator; Lavabo inter
innocentes; Suscipe, sancta Trinitas; Orate, fratres; Secreta). Il Messale
di Paolo VI conserva l’orazione In spiritu humilitatis (la più
significativa del gruppo), quella del Lavabo (semplificata),
l’Orate, fratres e la Super oblata (l’antica Secreta); introduce
inoltre le due nuove orazioni nel momento della presentazione del pane e del
vino. In conclusione, un offertorio più simile a quello di Gregorio Magno che a
quello di Pio V, senza fare però una operazione archeologica, dato che sono
state conservate alcune orazioni aggiunte dopo il pontificato di Gregorio.
Per quanto riguarda la preghiera eucaristica, pur introducendo
nuove preghiere eucaristiche, Paolo VI ha conservato il canone romano così come
è stato tramandato da Gregorio Magno e Pio V. Il Messale di Paolo VI prevede la
recita della preghiera ad alta voce, come era recitato il canone al tempo di
papa Gregorio. La recita silenziosa è stata introdotta in seguito col trapianto della
Messa romana in terra franca. Recentemente, il card. Sarah ha proposto recitare
la preghiera eucaristica sotto voce come un arricchimento del Novus Ordo (cf. blog Play
Tell). Forse dovrebbe essere il Vetus
Ordo ad arricchirsi con un uso che risale probabilmente ai tempi apostolici
ed è stato in vigore durante il primo millennio.
È importante notare, poi, che i riti di comunione nel Messale
paolino conservano le riforme introdotte da Gregorio Magno. Anticamente a Roma,
come nelle altre Chiese occidentali e in gran parte di quelle orientali,
il Padre nostro si recitava dopo la frazione del pane. Papa
Gregorio lo trasferì al posto attuale, subito dopo il canone. La comunione
sotto le due specie, reintrodotta da Paolo VI, era prassi comune in tempo di
papa Gregorio. Solo alla fine del secolo XII comincia a prevalere la comunione
sotto la specie del pane. Le parole con cui è distribuita la comunione nel
Messale di Pio V: “Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam tuam
in vitam aeternam” sono posteriori a Gregorio Magno; secondo Jungmann,
risalgono all’VIII secolo circa. Al tempo di papa Gregorio la comunione sotto
la specie del pane non era ricevuta in bocca, ma sulla mano, possibilità
prevista dal Messale di Paolo VI.
Si potrebbero aggiungere altri particolari come, ad esempio, la
lettura del prologo di Giovanni alla fine della messa, uso soppresso da Paolo
VI; lo si trova per prima volta a metà secolo XIII nell’Ordinario dei
Domenicani.
Come dice san Girolamo, “molti cadono in errore perché non
conoscono la storia” (In Matthaeum I, 2,22: CCL 70,15).
M. A.