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sabato 16 settembre 2017

LA MESSA DI GREGORIO MAGNO? QUELLA DI PAOLO VI LE SOMIGLIA PIÙ CHE LA MESSA DI PIO V





Una delle accuse che alcuni ambienti tradizionalisti fanno alla riforma della messa di Paolo VI è che ha distrutto la struttura della messa tradizionale che risale a san Gregorio Magno. Così si è espresso, ad esempio, Claudio Crescimanno il 05-09-2017 nella Nuova Bussola: “è vero che il messale in uso fino alla riforma postconciliare è stato codificato da san Pio V (XVI secolo), ma l’ordo, cioè la struttura e i testi, della messa tradizionale risale a san Gregorio Magno (VI secolo) tanto che essa può a giusto titolo essere chiamata anche messa gregoriana”.

Si può provare invece, con i dati storici in mano, che l’ordinario della messa  di Paolo VI somiglia più all’ordinario della messa in uso nel tempo di Gregorio Magno di quanto somigli ad esso l’ordinario della messa di Pio V.

Anche se è difficile determinare in concreto quali riforme liturgiche Gregorio Magno (590-604) abbia realizzato, alcuni dati sull’ordinario della messa nei secoli VI/VII li abbiamo. Se ci soffermiamo sul cuore della messa, la cosiddetta liturgia eucaristica, notiamo che fino al secolo VIII nell’offertorio della messa troviamo una sola orazione alla fine del rito: l’orazione super oblata, detta più tardi secreta. Nel Messale di Pio V, l’offertorio contiene numerose orazioni, 8 nell’edizione del 1962, senza contare le 4 che accompagnano l’incensazione nelle messe solenni (Suscipe, sancte Pater; Deus, qui humanae substantiae; Offerimus tibi, Domine; In spiritu humilitatis; Veni, sanctificator; Lavabo inter innocentes; Suscipe, sancta Trinitas; Orate, fratres; Secreta). Il Messale di Paolo VI conserva l’orazione In spiritu humilitatis (la più significativa del gruppo), quella del Lavabo (semplificata), l’Orate, fratres e la Super oblata (l’antica Secreta); introduce inoltre le due nuove orazioni nel momento della presentazione del pane e del vino. In conclusione, un offertorio più simile a quello di Gregorio Magno che a quello di Pio V, senza fare però una operazione archeologica, dato che sono state conservate alcune orazioni aggiunte dopo il pontificato di Gregorio.

Per quanto riguarda la preghiera eucaristica, pur introducendo nuove preghiere eucaristiche, Paolo VI ha conservato il canone romano così come è stato tramandato da Gregorio Magno e Pio V. Il Messale di Paolo VI prevede la recita della preghiera ad alta voce, come era recitato il canone al tempo di papa Gregorio. La recita silenziosa è stata introdotta in seguito col trapianto della Messa romana in terra franca. Recentemente, il card. Sarah ha proposto recitare la preghiera eucaristica sotto voce come un arricchimento del Novus Ordo (cf. blog Play Tell). Forse dovrebbe essere il Vetus Ordo ad arricchirsi con un uso che risale probabilmente ai tempi apostolici ed è stato in vigore durante il primo millennio.

È importante notare, poi, che i riti di comunione nel Messale paolino conservano le riforme introdotte da Gregorio Magno. Anticamente a Roma, come nelle altre Chiese occidentali e in gran parte di quelle orientali, il Padre nostro si recitava dopo la frazione del pane. Papa Gregorio lo trasferì al posto attuale, subito dopo il canone. La comunione sotto le due specie, reintrodotta da Paolo VI, era prassi comune in tempo di papa Gregorio. Solo alla fine del secolo XII comincia a prevalere la comunione sotto la specie del pane. Le parole con cui è distribuita la comunione nel Messale di Pio V: “Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam tuam in vitam aeternam” sono posteriori a Gregorio Magno; secondo Jungmann, risalgono all’VIII secolo circa. Al tempo di papa Gregorio la comunione sotto la specie del pane non era ricevuta in bocca, ma sulla mano, possibilità prevista dal Messale di Paolo VI.  

Si potrebbero aggiungere altri particolari come, ad esempio, la lettura del prologo di Giovanni alla fine della messa, uso soppresso da Paolo VI; lo si trova per prima volta a metà secolo XIII nell’Ordinario dei Domenicani.

Come dice san Girolamo, “molti cadono in errore perché non conoscono la storia” (In Matthaeum I, 2,22: CCL 70,15).



M. A.