Ger 20,7-9; Sal 62 (63); Rm 12,1-2; Mt 16,21-27
Le
letture bibliche della presente domenica ci orientano verso l’accettazione del
misterioso cammino della croce che hanno percorso i profeti e, in particolare,
Cristo stesso. Il profeta Geremia, scelto portavoce di Dio, diventa motivo di obbrobrio per i suoi a causa della parola
di Dio che egli, sedotto dal suo Signore, proclama con libertà (prima lettura).
Geremia, a causa della sua obbedienza alla volontà divina, è una commovente
figura del Cristo, il Servo di Dio. Anche Gesù è stato fatto oggetto di
malevoli sarcasmi e di dure contestazioni, ma è rimasto fedele alla sua
missione “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil
2,8). Nel brano evangelico d’oggi, Gesù annuncia la sua passione che avrà luogo
a Gerusalemme, e invita i discepoli a seguirlo e a prendere ciascuno la propria
croce. Pietro, che si rifiuta di accettare un Cristo sofferente, denota
l’incapacità dell’uomo a pensare secondo Dio. Prigioniero della logica umana,
egli tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica divina. Infatti, la
logica di Dio è completamente diversa da quella dell’uomo. Ne è consapevole san
Paolo quando nella seconda lettura ammonisce: “Non conformatevi a questo mondo,
ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter
discernere la volontà di Dio”.
Le
parole di Gesù ai suoi discepoli sono esigenti: “Se qualcuno vuole venire
dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Come spiegare
il paradosso della via della croce proposta da Gesù a tutti coloro che lo
vogliano seguire? Dio ha scelto di salvare gli uomini non con la ostentazione della
sua potenza, ma con la rivelazione del suo amore fedele, condividendo cioè da
vicino la miseria dell’uomo. La via della croce percorsa da Gesù è la via
dell’amore, del dono totale di sé. Quindi ciò che Gesù chiede ai suoi
discepoli, a tutti noi, non è una vita segnata dalla sofferenza, ma trasformata
dall’amore, una vita offerta senza condizioni al Signore. Non si tratta di
mortificare la vita, ma di arricchirla in modo che, rimanendo vita pienamente
umana, sia guidata dalla luce della fede che è soprattutto accettazione del
mistero, comunione con l’invisibile, ricerca del progetto di Dio.
Possiamo
affermare che le parole di san Paolo proposte oggi dalla liturgia sintetizzano
bene questo atteggiamento: “vi esorto… a offrire i vostri corpi come sacrificio
vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”. Il corpo
e le membra per Paolo sono l’intero essere umano nella sua dimensione storica,
personale e relazionale. Egli parla quindi della donazione totale del credente,
della sua persona con tutta la sua corporeità. E’ nella realtà concreta di ogni
giorno e nei fatti quotidiani che si realizza questo dono di sé. E in questo
modo, la nostra vita, modellandosi sull’esistenza di Gesù, diventa un vero
culto gradito al Padre. Se vi è scollamento fra la condotta della vita
quotidiana e il culto, la pratica religiosa scade nel formalismo e la morale si
riduce a moralismo.