Pubblicato il 31
agosto 2017 nel blog: Come se non
Nel
discorso tenuto per la celebrazione dei 70 anni del CAL, papa Francesco ha
pronunciato parole importanti sulla tradizione liturgica cattolica e sul modo
di comprenderla oggi da parte del magistero ecclesiale. Un bravo interprete
americano, il gesuita John Baldovin, ha riassunto in “cinque ragioni” la
rilevanza di questo discorso: (https://www.americamagazine.org/faith/2017/08/28/five-reasons-pope-francis-embraces-vatican-ii-liturgy).
Queste
ragioni sono assai rilevanti e vorrei subito presentarle. Ma ancora più
rilevante è, a mio avviso, la ermeneutica storica che Baldovin propone, perché
in tal modo mette in chiaro che cosa è accaduto nella Chiesa cattolica negli
ultimi 60 anni.
Le cinque ragioni
Il
discorso di papa Francesco può dunque essere riassunto secondo Baldovin in 5
affermazioni chiave:
-
primo, si ribadisce la rilevanza della partecipazione attiva, che
rifiuta la riduzione dei fedeli a “estranei e muti spettatori”
-
secondo, il Vaticano II ha voluto favorire la sana tradizione e
il legittimo progresso
-
terzo, per rispettare il Vaticano II occorre la pazienza di un lungo
lavoro educativo
-
quarto, la liturgia è presenza viva di Cristo, nelle diverse forme con cui il
rito la realizza e che ha al centro l’altare, verso cui tutta la
attenzione si dirige
-
quinto, la liturgia è una azione non solo per il popolo, ma del popolo.
Queste
cinque affermazioni, unite alla assunzione magisteriale della irreversibilità
del Concilio Vaticano II, pongono fine alla recente oscillazione – iniziata
formalmente dal 1988, ma culminata nel 2007 – tra queste linee fondamentali
della Riforma liturgica, e le loro antitesi (riforma della riforma) che ora
trovano fine. Ma ancor più interessante, nell’articolo di Baldovin, è la
ricostruzione della storia che ha portato, finalmente, a questo pronunciamento.
Una
preziosa ermeneutica storica
Nel
suo articolo, J. Baldovin inizia da una preziosa ricostruzione storica. In
sintesi egli presenta le opposizioni alla Riforma liturgica come scaturite
immediatamente dopo il Concilio. Ecco le sue parole:
It is not news that the liturgy has been a contested field in Catholic life over the past few decades. Opposition to liturgical reform began even before the conclusion of the Second Vatican Council, and increased from 1964 onward, when reforms like the use of English and the practice of the priest facing the people while presiding at the Eucharist began to be implemented.
In its most extreme form this rejection of Vatican II’s reform found a base in the traditionalist movement founded by Archbishop Marcel Lefebvre, which eventually split off in schism from the Catholic Church after he ordained bishops on his own. Part of that movement remained within the church and was greatly encouraged by Pope Benedict XVI’s motu proprio “Summorum Pontificum” ten years ago, which greatly liberalized permission to celebrate the traditional Latin Mass, now called the “Extraordinary Form.”
The opposition was not limited to this extreme, however. Another group characterized as the “Reform of the Reform” advocated modifications of the post-Vatican II reforms, such as a return to one Eucharistic Prayer (Prayer I, the Roman Canon) recited in Latin and in a low voice with the priest and people facing in the same direction (ad orientem). That movement’s most notable champion was Cardinal Joseph Ratzinger, but it had supporters among at least the past four prefects of the Congregation for Divine Worship and Discipline of the Sacraments : Cardinals Jorge Arturo Medina Estévez, Francis Arinze, Antonio Cañizares and (currently) Robert Sarah. These opposition movements also found support among some younger Catholics searching for a more transcendent experience of liturgy than they customarily experienced.
Con
lucidità Baldovin individua non solo le concessioni fatte ai lefebvriani con il
MP Summorum Pontificum, ma anche il lavoro di opposizione alla riforma
sollevato dagli ultimi 4 Prefetti della Congregazione del culto (oltre
che, in modo determinante, dal Prefetto J. Ratzinger). Questa
ricostruzione non solo appare del tutto corretta, ma invita anche a trarre le
conseguenze ultime del ragionamento, procedendo ad un inevitabile
avvicendamento del Prefetto Sarah, la cui preoccupazione dominante appare
francamente incompatibile con questo disegno chiaro e determinato di ripresa
del cammino della Riforma voluta dal Concilio Vaticano II, sulla quale
papa Francesco ha chiesto di continuare a lavorare con coerenza e senza
divagazioni o nostalgie. Con questo discorso papa Francesco, da figlio del
Concilio, ha superato ogni residua esitazione: come Summus Pontifex si
è posto nettamente al di là di Summorum Pontificum.