Il
discorso di papa Francesco, del 24 agosto scorso, ai partecipanti al Convegno
del CAL ha avuto una vasta eco nei media. La quasi totalità dei titoli hanno
ripreso le parole del papa: “la riforma liturgica è irreversibile”. Parole
chiare e di peso, soprattutto se lette nel contesto in cui si trovano: “… dopo
questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e
con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile”. Alla luce
di queste parole, qualcuno ha interpretato il discorso come fosse il “Quo primum tempore” del Novus Ordo, alla stregua della bolla “Quo primum tempore” con cui Pio V
“blindò” il suo Missale Romanum. Non
credo che il Novus Ordo abbia bisogno
di essere “blindato”; basta la Costituzione Apostolica “Missale Romanum” di Paolo VI e il magistero di questo papa al
riguardo fino alla fine della sua vita.
Non
c’è dubbio che il discorso di Francesco è rivolto a coloro che in diversi modi
parlano della “riforma della riforma (montiniana)”. Costoro intendono ripensare
e rivedere la riforma di Paolo VI, giudicata non fedele al dettato della Sacrosanctum Concilium e alla tradizione
del Rito romano. Papa Francesco afferma invece che “la direzione tracciata dal
Concilio trovò forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e
del legittimo progresso (cf. SC, 23), nei libri liturgici promulgati dal Beato
Paolo VI”.
Il
discorso è rivolto anche alle Conferenze episcopali e ai Pastori in genere,
invitati a guidare l’applicazione pratica della riforma montiniana. “Non basta
riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità”, si richiede quindi l’educazione
liturgica di Pastori e fedeli, è questa “una sfida da affrontare sempre di
nuovo”. Perciò il papa invita a riscoprire “i motivi delle decisioni compiute
con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni
parziali e prassi che la sfigurano”.
Alcuni
hanno affermato che il grande escluso dal discorso è Benedetto XVI.
Nell’excursus storico iniziale, papa Francesco cita solo Pio X che istituì una
commissione per la riforma generale della liturgia; Pio XII che riprese il
progetto riformatore e prese decisioni concrete al riguardo; e Paolo VI che
promulgò i nuovi libri liturgici, “ben accolti dagli stessi vescovi che furono
presenti al Concilio”. La scelta ha una sua logica. Sarebbe meschino contrapporre papa Francesco a Benedetto XVI
che, da Sommo Pontefice non ha parlato mai di “riforma della riforma” e nella Lettera
che accompagna il motu proprio Summorum
Pontificum parla del “valore e santità del nuovo rito” nonché della
“ricchezza spirituale e la profondità teologica del Messale di Paolo VI”.
Come
ha scritto Cesare Giraudo in facebook, «riforma irreversibile», poiché ogni riforma liturgica ha sempre puntato
in avanti (una riforma liturgica "in retromarcia" o con inversione a
"U" è un controsenso). E io aggiungo, la irreversibilità della
riforma di Paolo VI, come di ogni riforma, non significa che i libri liturgici
montiniani rimangono “blindati” e “immutati” per sempre. La Chiesa ha sempre
bisogno di purificazione (cf. LG, 8) e, in questo contesto, anche la liturgia è
sottoposta ad un processo di purificazione o di riforma.
Matias
Augé