Is 22,19-23; Sal 137 (138); Rm 11,33-36; Mt 16,13-20
L’autore
del Sal 137 rende grazie a Dio al cospetto dei suoi angeli (evocati con la locuzione
arcaica degli “dei”) e prostrato verso l’aula sacra del tempio, per la
benevolenza e fedeltà dimostrata nel concedergli l’aiuto da lui invocato. La
preghiera termina con un’espressione di fiducia e con il desiderio che il
Signore non abbandoni colui che ha salvato, ma porti a compimento ciò che per
lui ha benevolmente iniziato: l’amore del Signore è per sempre. Con grande
umiltà e fiducia riprendiamo il Sal 137, che riecheggia il Magnificat di Maria, e innalziamo a Dio la nostra preghiera. La
fede ci insegna che Dio non crea l’uomo per abbandonarlo ai bordi di una
strada, ma lo segue sempre con amore paterno e premuroso, portando avanti
l’iniziativa di salvezza nei suoi confronti, così come fa capire san Paolo nel
brano della lettera ai Romani, proposto come. seconda lettura.
Nella
prima lettura si parla di un tale Sebna, alto funzionario di corte, uomo
disonesto e megalomane. Per mezzo del profeta Isaia viene esautorato da Dio e
il suo posto dato ad un umile servo di nome Eliakìm, a cui viene consegnata
come simbolo di autorità “la chiave della casa di Davide” e affidato il compito
di essere un “padre per gli abitanti di Gerusalemme”. Questo episodio insegna
che il potere è dato non per il prestigio e il tornaconto personali, ma per
l’utilità comune e il servizio del popolo di Dio. Non c’è dubbio che questo
brano di Isaia è stato scelto dalla liturgia odierna a motivo dell’immagine
delle “chiavi”, segno di potere, per la chiara corrispondenza con le parole di
Gesù a san Pietro riportate dalla lettura evangelica odierna. Gesù si rivolge a
san Pietro con queste parole: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la
mia chiesa... A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai
sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà
sciolto nei cieli”. Queste parole Gesù le pronuncia dopo la professione di fede
dell’Apostolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. In forza
dell’accoglienza del dono di Dio, sulla base di questa fede, Pietro è
costituito fondamento, roccia della Chiesa di Gesù. Ma insieme a lui tutti i
cristiani siamo “impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio
spirituale” (1Pt 2,5; cf. colletta alternativa).
Riprendiamo
il simbolismo delle chiavi, presente anche nella prima lettura. Chi possiede la
chiave di una casa o di una città ne ha la custodia e la responsabilità. Nel
caso di Pietro, si tratta di poteri amministrativi e di governo sul piano
spirituale. Il dono fatto al principe degli apostoli è in definitiva un dono fatto
a vantaggio di ogni battezzato. La Chiesa è di Cristo (Gesù dice infatti:
“edificherò la mia Chiesa”). In essa
ci sono uomini e donne di poca fede che hanno sempre bisogno del perdono,
dell’amore e della verità per crescere verso il Regno. Il legare e lo
sciogliere della Chiesa ci rimanda in definitiva a prendere coscienza che il
vero e unico “fedele” di cui ci possiamo fidare è proprio Dio, manifestato nel
Figlio Gesù Cristo, e che continua ad agire nel tempo per mezzo dell’umanità di
Pietro e dei suoi successori. Nella logica del brano evangelico e nel contesto
della prima lettura oggi proposta, il potere conferito a Pietro non è quindi un
potere di dominio, ma una investitura con cui Pietro è destinato al servizio
dell’uomo in cammino verso il Regno, ad essere un “padre” per i figli di Dio.
Il Signore nella sua sapienza imperscrutabile, di cui parla la seconda lettura,
non ci abbandona mai. La comunità cristiana non è lasciata sola, ma è sempre
vivificata dalla presenza del Cristo risorto. Egli continua ad essere presente
in mezzo a noi attraverso molti modi tra cui il servizio di Pietro e dei suoi
successori.