1Re 19,9a.11-13°; Sal 84 (85); Rm 9,1-5; Mt 14,22-33
Il
Sal 84 è una preghiera che fa riferimento al “ritorno” di Israele alla sua
terra e al suo Dio e al ritorno di Dio
verso Israele. In questo contesto, l’orante proclama che la presenza di Dio è
fonte di serenità e di pace. Il testo, che è anche un oracolo profetico, lascia
presagire una manifestazione di Dio stesso sulla terra e il rinnovamento
dell’universo in questo incontro tra Dio e gli uomini: si profila all’orizzonte
della storia d’Israele l’avvento imminente del Messia. Quando noi quindi
ripetiamo il ritornello “Mostraci, Signore, la tua misericordia”, sappiamo che
questa supplica ha trovato nell’avvento di Cristo nel mondo il suo compimento.
Solo però con l’avvento finale di Cristo la pace e la giustizia raccoglieranno,
in un unico abbraccio, il cielo e la terra.
Oggi,
come di solito nelle altre domeniche del Tempo ordinario, il brano dell’Antico
Testamento e quello evangelico del Nuovo Testamento coincidono tematicamente.
Non è ozioso rammentare che la nostra fede professa l’unità dei due Testamenti,
di cui lo stesso e unico Dio è ispiratore e autore. Nella seconda lettura
odierna, san Paolo ricorda ai romani che l’esperienza cristiana non si pone in
linea di totale rottura rispetto all’esperienza di Israele, anzi ne è la
prosecuzione e il compimento. Vediamo quindi quale sia il messaggio unitario
delle letture prima e terza.
La
prima lettura narra la manifestazione di Dio ad Elia. L’episodio va collocato
nel suo contesto. Dopo che Elia aveva vinto la sfida del Carmelo con i falsi
profeti di Baal e li aveva anche fatto uccidere, la regina Gezabele venuta a
conoscenza del fatto fece ricercare Elia per ucciderlo. Ecco quindi che il
profeta, per evitare le ire di Gezabele, fugge nel deserto, con il cuore carico
di amarezza. In questo momento tragico della sua vita avviene l’incontro di
Elia con Dio, il quale si manifesta al profeta nel “sussurro di una brezza
leggera”. Dio si rivela non tanto nel prodigioso e nel sensazionale, ma
piuttosto nel silenzio, nell’interiorità del rapporto con lui. Dio ha dato
prova della sua vicinanza al profeta in un momento difficile, ma anche lo
invita a riprendere la via del deserto, a rimettersi senza paura nella sua
missione.
Anche
l’episodio narrato dal vangelo parla di Dio che si rivela in Gesù Cristo. Gesù
si manifesta ai discepoli come il Signore che si muove liberamente tra le forze
del mare e questo serve a educare la loro fragile fede, a fidarsi di lui. Il
fantasma che fa gridare dalla paura i discepoli, quello è Gesù. Il significato
dell’episodio è chiaro: Gesù si rivela come colui che è presente per salvare i
suoi nei momenti di pericolo, quando tutte le energie sono ormai state spese.
Dio è presente, attivo, specialmente nei momenti di difficoltà e di lotta. E’
la fede che apre i nostri occhi alla presenza di Dio nella nostra vita: essa
rompe ogni paura, ci fa uscire dalle nostre sicurezze per mandarci incontro a
lui.
Gesù ripete anche a noi le parole
indirizzate ai discepoli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Il Signore
che domina tutto il creato rafforza la nostra fede così che possiamo
riconoscerlo presente in ogni avvenimento della storia, in ogni circostanza
della nostra vita, per affrontare serenamente ogni prova, camminando con lui
nella pace. La promessa di Cristo di essere presente nella sua Chiesa, si
compie in molte maniere, ma soprattutto quando riuniti in assemblea celebriamo
e partecipiamo all’eucaristia.