Is 56,1.6-7; Sal 66 (67); Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28
Il
Sal 66, composto in epoca postesilica, esprime la gioia primitiva del contadino
palestinese che, da una terra avara, ha ottenuto il dono delle messi, segno
sperimentabile della benedizione divina. A questa felicità spontanea è chiamato
a partecipare il mondo intero che dal Creatore attende il sostentamento fisico
e la guida in mezzo alle stagioni della storia. Nel testo salmico compare una
specie di ritornello, in cui tutte le nazioni sono invitate a lodare Iddio. Si
tratta quindi di un salmo che ha una chiara visione universalistica, una
preghiera a dimensioni planetarie. La liturgia della Parola orienta la nostra
riflessione verso la presa di coscienza che la salvezza donata da Cristo è per
tutti i popoli.
La
prima lettura, è il brano iniziale del cosiddetto Terzo Isaia (cc. 56-66) che
risale al periodo del ritorno di Israele in patria dopo la dolorosa esperienza
dell’esilio in Babilonia. Si tratta di uno degli passaggi dell’Antico
Testamento che meglio esprime la nuova coscienza religiosa venutasi a formare
in Israele: non più la rivendicazione di un Dio nazionale, ma di un Dio che vuol
far giungere a tutti i popoli la salvezza. Ecco allora che il tempio, da segno
di identità religiosa nazionale diventa per il profeta la “casa di preghiera
per tutti i popoli”, per tutti quegli uomini che amano e servono il Signore,
anche senza conoscerlo, ma che praticano la sua giustizia, a qualunque razza,
popolo o gruppo appartengano. Anche se Isaia esige la “non profanazione del
sabato” e il pellegrinaggio al “monte santo” di Sion, atti tipicamente
appartenenti al patrimonio culturale e tradizionale ebraico, il testo del
profeta lascia intravedere come nel rapporto con Dio ciò che conta veramente è
l’alleanza con lui e non steccati e pregiudizi umani
Il
brano evangelico illustra e approfondisce lo stesso tema della prima lettura.
L’episodio narrato è quello della donna cananea, quindi non appartenente al
popolo eletto, che si presenta a Gesù per chiedere la guarigione della propria
figlia. Il racconto, nonostante certe asprezze nel dialogo tra Gesù e la
cananea, volute appositamente da san Matteo per sottolineare la fede della
donna e la precedenza di Israele nel piano della salvezza, indica chiaramente
in Gesù la piena disponibilità al dialogo con ogni persona, anche con i pagani,
le persone più disprezzate dai suoi connazionali. In questo racconto, Matteo si
rende interprete della mentalità circolante in una Chiesa giudeo-cristiana. In
essa il senso della priorità di Israele rimane alto, tuttavia deve essere
educata a riconoscere, senza riserve, la possibilità per i pagani di essere
inclusi nell’orizzonte della salvezza. Per entrare nel regno dei cieli, per
appartenere al nuovo popolo di Dio ciò che conta è la fede viva, attiva,
perseverante e non l’appartenenza etnica o genealogica, perché la salvezza che
Dio offre è destinata a raggiungere tutti i popoli della terra.
San
Paolo ci ricorda nella seconda lettura che neppure il popolo di Israele, che
non ha riconosciuto in Gesù il Messia, è escluso dalla salvezza. Anzi, questo
popolo, scelto da Dio per attuare il suo piano salvifico, è destinato ad essere
oggetto particolare della misericordia di Dio. Infatti, la salvezza è offerta a
tutti senza eccezioni. Essa si configura quindi come una esperienza di unità e
di pace fra gli uomini e non di lotte e divisioni. Tutti sono chiamati alla
salvezza, perché essa è opera di Dio, dono gratuito della sua misericordia.
L’universalità della salvezza, intuita nell’Antico Testamento, viene
chiaramente affermata dall’azione di Gesù a favore della cananea e applicata in modo più esteso da Paolo nel
suo impegno missionario.