Ez 33,1.7-9; Sal 94 (95); Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
La
prima parte del Sal 94 è un invito a lodare e rendere grazie al Signore. Nella seconda
parte è Dio stesso a parlare al suo popolo evocando l’evento centrale della
fede d’Israele, la sua nascita come popolo eletto nel deserto dopo la
liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Ebbene, in quegli inizi Israele ha
sfoderato tutta la gamma delle sue ribellioni. Il nostro testo ricorda in
particolare l’episodio di Massa a Meriba (cf. Es 17,1-7; Nm 20,2-13) ed esorta
i figli d’Israele ad ascoltare la voce di Dio e a non indurire il cuore.
Riprendendo il testo salmico, anche noi siamo esortati ad ascoltare la voce del
Signore evitando che il nostro cuore si indurisca e ci renda sordi alla sua
voce, al suo amore: “Ascoltate oggi la voce del Signore”.
Nella
nostra breve riflessione, partiamo dalla seconda lettura, in cui abbiamo
ascoltato un pressante appello di san Paolo all’amore vicendevole, “perché chi
ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Con queste parole, l’Apostolo riconduce
tutti gli obblighi e tutti i rapporti con i propri simili all’amore (cf. anche
1Cor 13,1-8; Gal 5,14). Il messaggio è chiaro: alla base di ogni rapporto
personale, famigliare, ecclesiale o sociale ci deve essere una logica di amore.
La morale cristiana non è fondata su una serie di precetti, più o meno
negativi, ma sulla responsabilità di ognuno per l’altro.
Questo
amore per il prossimo si manifesta anche con la correzione fraterna. Un amore
permissivo, incapace di denunciare il male che affligge i nostri fratelli, è un
falso amore. Ce lo ricordano le altre due letture bibliche. Il profeta
Ezechiele, viene affermato nella prima lettura, è stato costituito dal Signore
“sentinella per la casa d’Israele”: egli ha il compito di denunciare la
mancanza di fede del popolo, di smascherare gli ingiusti, di richiamare i
peccatori perché si convertano. Se non lo facesse sarebbe corresponsabile della
loro perversione. Sappiamo bene che la presenza del male non riguarda soltanto
la società di altri tempi; è un problema con cui dobbiamo fare i conti tutti i
giorni. Esso ci coinvolge sempre personalmente.
Il
brano evangelico riprende le stesse idee della prima lettura ed espone in modo
dettagliato le tappe del processo di ricupero dell’errante, l’atteggiamento di
avere nei confronti del fratello che ha sbagliato. Non si tratta di norme
disciplinari in senso proprio, ma di una pressante esortazione a fare tutto il
possibile per riportare il colpevole sul giusto cammino. Assumendo una
posizione passiva davanti agli errori del nostro prossimo noi non perseguiamo
la via dell’amore, della solidarietà e della corresponsabilità. La correzione
fraterna raccomandata da Gesù comporta un atteggiamento di comprensione e di
coraggio al fine di consentire al fratello che è in errore di ravvedersi. Una
tale correzione non ha il carattere di azione punitiva ma è volta alla
conversione del fratello. Possiamo ben dire che la correzione fraterna è
anzitutto un grande esercizio di amicizia e perciò suppone che si ami l’altro
come un “altro me stesso” nella consapevolezza di essere assieme fragili ma
anche forti, se e in quanto uniti nella carità. Il brano evangelico d’oggi
riporta alla fine le parole di Gesù sull’efficacia della preghiera comune: la
comunità riunita nella carità gode della presenza di Cristo e, in lui, ottiene
dal Padre che progredisca la riconciliazione universale. Il Signore è presente
là dove c’è un’autentica concordia nella preghiera.
La
partecipazione all’eucaristia ha come frutto il rafforzamento della “fedeltà e
della concordia” dei figli di Dio (cf. preghiera sulle offerte).