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sabato 4 novembre 2017

DOMENICA XXXI DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) - 5 Novembre 2017


Ml 1,14-2,2.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12

La dolcissima immagine di un Dio “materno” che regge le poche battute del salmo 130 hanno reso la preghiera in esso racchiusa un delle più care alla tradizione cristiana. Ritroviamo in questo testo lo spirito dell’infanzia spirituale, che sarà indicata da Cristo come la via maestra per giungere al regno di Dio (cf. Mt 18,1-5). Soltanto un cuore umile e disponibile è in grado non solo di vivere nella pace, ma anche di donarsi con generosità e coraggio per il bene degli altri.

La prima lettura riporta un richiamo accorato e minaccioso del profeta  Malachia contro i sacerdoti del tempio di Gerusalemme del suo tempo, i quali non sono zelanti dell’amore di Dio, non osservano la sua legge ed agiscono con perfidia. La vita di quei sacerdoti dell’Antico Testamento era in stridente contrasto con il loro compito, anzi lo annullava del tutto. Il brano evangelico  racconta che Gesù ha lo stesso atteggiamento con gli scribi ed i farisei, che pur essendo maestri della legge in Israele non sono coerenti tra quanto dicono e fanno. Impongono sugli altri pesanti fardelli che essi non portano minimamente, amano essere ammirati dalla gente ed essere chiamati maestro. E proprio Egli, Gesù l’unico nostro vero Maestro, si presenta ai suoi discepoli come colui che ha dato esempio, diventando il loro servo. San Paolo nella seconda lettura, da parte sua, dopo aver affermato di essere disposto a dare la sua stessa vita per amore dei fratelli, ricorda che egli ha lavorato notte e giorno per non essere di peso ad alcuno. In questo contesto di dedizione e di sacrificio personale dell’apostolo, i tessalonicesi possono veramente fare l’esperienza di una parola che non è più “parola d’uomini” ma “parola di Dio”. San Paolo imita l’atteggiamento affettuoso di Dio, espresso dal salmo responsoriale, nei riguardi della comunità, che ha generato alla fede, e che considera quasi come creatura da lui partorita (cf. Gal 4,19).


Con il battesimo tutti siamo diventati corpo sacerdotale di Cristo, tutti siamo chiamati ad annunciare le meravigliose opere di Dio, e quindi le dure parole della Bibbia che ascoltiamo oggi sono dirette a tutti indistintamente affinché la vita di ciascuno non diventi una controtestimonianza ma sia coerente. L’insidia dell’ipocrisia e del fariseismo minaccia continuamente ogni esperienza religiosa, compresa l’esperienza cristiana. La logica della vita cristiana richiede che non ci sia una frattura tra fede e vita, tra parola e azione; l’autenticità cristiana passa attraverso il costante superamento di questa dicotomia che tenta sempre di annidarsi nelle più diverse pieghe dell’agire umano. Recuperare l’unità coerente e interiore della fede e del comportamento è l’esigenza proclamata dal vangelo di questa domenica. Possiamo quindi domandarci: siamo impegnati a testimoniare con sincerità l’autentico messaggio di Cristo? La  nostra testimonianza di fede cristiana si riduce a vuote parole o è in coerenza con la nostra vita?