di Matias Augé
Il
discorso di papa Francesco, lo scorso 24 agosto, ai partecipanti alla 68.ma
Settimana Liturgica Nazionale, non è stato un discorso di circostanza, ma un
importante discorso nitido e articolato sulla liturgia nel momento presente. Ricordati
i 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica (CAL), il papa ha subito
affermato che in questo arco di tempo nella Chiesa “sono accaduti eventi
sostanziali e non superficiali”, tra cui il concilio Vaticano II e la riforma
liturgica che ne è sgorgata.
La
prima parte del discorso ripercorre le tappe di questa riforma: il movimento
liturgico e gli interventi dei Sommi Pontefici, in particolare quelli di Pio X
e di Pio XII, fino ad arrivare al Vaticano II e alla Costituzione Sacrosanctum Concilium (SC), “le cui
linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza
di un rinnovamento”. Viene ricordato in seguito Paolo VI, l’artefice della
riforma, che egli guidò col suo magistero fino alla morte. Arrivati a questo
punto, papa Francesco afferma: “Dopo questo magistero, dopo questo lungo
cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la
riforma liturgica è irreversibile”. Parole solenni che hanno stupito ad alcuni
e fatto discutere ad altri. Riforma irreversibile? Anzitutto, il papa fa suo il
magistero dei pontefici che hanno preparato e attuato la riforma, in
particolare quello di Paolo VI che un anno prima della morte diceva ai Cardinali
riuniti in Consistoro: “È venuto il momento […] di applicare integralmente nei
suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai
voti del Concilio”. La irreversibilità
della riforma va capita appunto nel contesto dei “giusti criteri ispiratori”
che hanno guidato l’opera dei pontefici e
trovato un autorevole compimento nella Costituzione sulla sacra
liturgia.
Interpretare
la irreversibilità della riforma come irreversibilità dei riti e dei testi dei
libri liturgici è da miopi. La storia ci insegna che sia Pio V che Paolo VI
nella promulgazione dei loro Messali hanno usato formule vincolanti: “Quanto
abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e
in futuro…” (Costituzione Missale Romanum
di Paolo VI). E ciò nonostante, i due Messali hanno avuto nelle successive
edizioni tipiche dei cambiamenti più o meno rilevanti, che hanno però rispettato
i criteri ispiratori dei rispettivi Messali.
Bisogna
quindi muoversi in un’altra direzione: riscoprire i motivi delle decisioni
compiute con la riforma liturgica, superare letture infondate e superficiali di
essa e ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Il papa vuole “obbedienza
pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri
ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che
partecipano alla liturgia”. E ricorda che “l’educazione liturgica di Pastori e
fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo”. Alcuni si sono meravigliati che il papa non
abbia condannato con più decisione gli abusi che non di rado si verificano
nelle celebrazioni liturgiche. Certamente
gli abusi vanno combattuti, ma non a scapito degli usi. La riforma va accolta,
spiegata se necessario, ma non combattuta. Non si butta il bambino
insieme con l’acqua sporca: “Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone
le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese”.
Nella seconda parte del discorso, papa
Francesco si è soffermato sul tema che ha animato i lavori del CAL: “Una liturgia viva per una Chiesa viva”. Il
papa afferma che “come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il
cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica”. Nella liturgia
sperimentiamo la comunione con Cristo attraverso “i riti e le preghiere (cf.
48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo”. È un richiamo
a rivalutare il linguaggio rituale della celebrazione (parole, gesti, silenzi) senza
riempirlo di inutili commenti. L’azione rituale, se eseguita correttamente, parla
e comunica da sé. Il papa ricorda poi,
riprendendo quanto dice l’Ordinamento
generale del Messale Romano e il Rito
della dedicazione di un altare. che “tra i segni visibili dell’invisibile
Mistero vi è l’altare, segno di Cristo, pietra viva…” L’altare costituisce il
centro verso cui “si orienta lo sguardo degli oranti”. Il lungo paragrafo
dedicato alla centralità dell’altare, sembra che intenda dare una risposta al
dibattito odierno sull’orientamento nella celebrazione “rivolti al Signore”.
Col suo tipico linguaggio, papa Bergoglio
afferma che “per sua natura la liturgia è ‘popolare’ e non clericale”. È l’azione che Dio compie in favore del suo
popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio e reagisce lodandolo e
invocandolo. Come aggiunge SC, 33, le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che
presiede l’assemblea, vengono dette a nome di tutto il popolo santo e di tutti
gli astanti. La liturgia va partecipata “consapevolmente, piamente,
attivamente” (SC, 48). Ed è una liturgia inclusiva e non esclusiva. Riprendendo
quanto egli stesso aveva detto nell’omelia della solennità del SS.mo Corpo e
Sangue di Cristo di quest’anno, papa Francesco afferma: “L’Eucaristia non è un
sacramento ‘per me’, è il sacramento di molti che formano il suo corpo, il
santo popolo fedele di Dio”.
Non sono mancati coloro che hanno affermato che
il grande assente nel discorso è Benedetto XVI. Noto che il motu proprio Summorum Ponatificum non forma parte del
processo di riforma voluto dal Vaticano II. Sarebbe però meschino
contrapporre papa Francesco a Benedetto XVI che, da Sommo Pontefice, non ha
parlato mai di “riforma della riforma” e nella Lettera che accompagna il suddetto
motu proprio parla del “valore e santità del nuovo rito” nonché della
“ricchezza spirituale e la profondità teologica del Messale di Paolo VI”. Ricchezza
spirituale e profondità teologica che papa Francesco ci invita a approfondire e
interiorizzare.
Il discorso di papa Francesco sconfessa il
pessimismo sulla riforma liturgica che serpeggia in alcuni ambienti ecclesiali
e traccia la strada da percorrere per il futuro.