Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127 (128); 1Ts 5,1-6; Mt
25,14-30
In
una atmosfera piena di pace, di serenità e di felicità il Sal 127 celebra la
vita piena dell’uomo giusto. Dio lo benedice nel suo lavoro, dandogli la
possibilità di coglierne e di goderne i frutti. Il salmo inizia con le parole
“Beato chi teme il Signore”, e termina con un augurio che si estende
sull’intero popolo d’Israele: “Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i
giorni della tua vita!”. In questa cornice, le letture bibliche odierne sono un
forte richiamo ad una fede feconda; ci viene ricordato che le più sacrosante
aspirazioni dell’uomo saranno appagate in pieno solo nella “città futura”,
quando nell’intimità della casa del Padre la sposa dell’Agnello radunerà tutti
i suoi figli “intorno alla sua mensa”. Raggiunge però questo traguardo colui
che “cammina nelle vie del Signore”.
Alla
fine ormai dell’anno liturgico, anche questa domenica è dominata dal pensiero
delle ultime realtà, ma con una particolare sottolineatura: il rimando alla
responsabilità personale nel presente come fatto decisivo in ordine al giudizio
del futuro. L’uomo è libero di scegliere come spendere la propria esistenza
terrena, ma solo chi segue fedelmente le vie indicate dal Signore raggiungerà
un traguardo luminoso. La prima lettura fa l’elogio della donna perfetta, di
cui si loda sia la sua integrità morale sia la sua capacità di gestire con
fermezza, intelligenza ed amabilità la sua casa. La parabola dei talenti
riportata dal vangelo si muove su una linea simile: i servi che hanno fatto
fruttificare i talenti ricevuti sono lodali e premiati con generosità dal loro
padrone. L’unico che sotterra il talento ricevuto viene castigato. Notiamo che
un talento costituiva la paga di circa seimila giornate di lavoro. Anche al
servo che ne viene affidato uno solo riceve quindi un capitale enorme.
Il
nostro rapporto col futuro, precisato nella domenica scorsa come un “vegliare”,
diventa oggi un “operare” nel concreto quotidiano, in base alle responsabilità
avute. Non si tratta solo di attendere il ritorno di Cristo, ma di orientare la
storia verso di lui. Dobbiamo vivere quindi non solo in un’attesa vigile ma
anche fattiva. Il nostro futuro eterno è legato all’impegno nel quotidiano.
Notiamo che il terzo servo di cui parla la parabola evangelica non viene punito
perché ha fatto del male, ma perché non ha fatto del bene. Un dono, anche se
piccolo, è pur sempre un dono: in quanto tale è un gesto di amore e di fiducia,
a cui bisogna corrispondere con altrettanta generosità. Tutti abbiamo ricevuto
dei doni; bisogna farli fruttificare. Alla fine della nostra vita ci
incontreremo solo con ciò che avremo costruito, ma anche con tutto ciò che
avremo avuto il coraggio di aspettarci da Dio. La venuta dell’ultimo giorno,
del giorno del Signore, sarà un’amara sorpresa solo per chi avrà
sistematicamente ignorato le proprie responsabilità e avrà chiuso il suo cuore
alla speranza. Perché il Signore viene già ora, nella fedeltà agli impegni di
ogni giorno. Nella seconda lettura, san Paolo ribadisce la stessa dottrina:
conoscendo le ultime realtà a cui andiamo incontro, non possiamo comportarci
come se non esistessero, ignorandole o adagiandoci in una passiva e inattiva
attesa. Ciò che Dio ci chiede è ben poca cosa: la fedeltà alla sua grazia di
ogni giorno nel compimento dei doveri quotidiani.
Possiamo
ben dire che la santa eucaristia a cui partecipiamo costituisce la sintesi
massima dei talenti datici da Dio. Perciò la partecipazione fruttuosa ad essa è
pegno della gloria futura: ci ottiene la grazia di servire il Signore
fedelmente e ci prepara il frutto di un’eternità beata (cf. orazione sulle
offerte).