Il
Motu proprio Magnum Principium (MP) di papa Francesco, in vigore dal 1° ottobre scorso, ha riorganizzato le
competenze, sia della Sede Apostolica sia delle Conferenze Episcopali nelle
traduzioni dei testi liturgici alle lingue nazionali. Nei mesi scorsi, il
documento ha provocato diverse reazioni, alcune delle quali molto critiche. Un
esempio per tutti, Don Nicola Bux il 26 novembre 2017 sulla Bussola Quotidiana parlava del
“rovesciamento delle gerarchie” e lamentava che con questo Motu proprio “la
Sede Apostolica rinuncia alla sua fondamentale competenza sulle traduzioni dei
libri liturgici”. Pochi si sono resi conto che la sostanza del documento di
papa Francesco non fa altro che ripristinare quanto l’edizione tipica del Missale Romanum del 1970 diceva nel
Decreto con cui la Sacra Congregazione per il culto divino pubblicava il Messale:
“… Conferentiae Episcoporum curabunt ut, intra congruum tempus, novae versiones vernaculae Missalis Romani fideliter atque adamussim fiant, praecedentibus versionibus adhuc in usum accurate emendatis ad fidem textus originalis Latini, a Sede Apostolica ad normam iuris recognoscendae”. In questo testo si percepisce l’influsso della Istruzione Liturgiam authenticam, entrata in vigore il 25 aprile del 2001.