1Sam 3,3b-10.19; Sal 39 (40); 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv
1,35-42.
Il
brano del Sal 39 scelto come salmo responsoriale celebra la speranza, la
fiducia in Dio che, come un padre, si china sulla creatura, e nel contempo il
testo salmico proclama la piena disponibilità dell’uomo ad assecondare il
volere divino. La Lettera agli Ebrei applica i vv. 7-9 al Cristo, il quale
ubbidisce al Padre venendo al mondo per la salvezza dell’uomo: “Entrando nel
mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece
mi hai preparato...” (Eb 10,5). Cristo risponde con il sacrificio perfetto e
definitivo del suo corpo alla chiamata del Padre che l’ha inviato nel mondo.
Dio
si presenta nella nostra vita come un vero interlocutore che ci chiama per
nome. Questo è il messaggio che emerge dalle letture odierne. La prima lettura
racconta la vocazione di Samuele alla missione profetica e sacerdotale. Vediamo
che il giovane Samuele viene chiamato di notte. Aiutato dal suo maestro Eli,
egli discerne in quella voce la chiamata di Dio. L’atteggiamento del giovane è
di piena disponibilità: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. Tutta la vita
di Samuele sarà poi contrassegnata da questa apertura alla parola di Dio: egli
“non lasciò andare a vuoto una sola delle sue [del Signore] parole”.
Il
brano evangelico ci parla della vocazione di due discepoli di Giovanni Battista
che, spronati dalle parole del Precursore che indica in Gesù il Messia atteso,
si mettono alla sequela di Gesù. Uno di questi due, Andrea, si fa portavoce
dell’avvenuto incontro con Pietro, che diviene anch’egli discepolo di Gesù.
Anche qui c’è prontezza nella risposta alla chiamata, la quale arriva
attraverso delle mediazioni, quella di Giovanni prima e quella di Andrea poi.
Abbiamo
visto sopra che la Lettera agli Ebrei interpreta i vv.7-9 del salmo
responsoriale come riferiti a Gesù, il quale all’inizio della sua esistenza
esprime con le parole del salmo una totale disponibilità a portare a termine il
disegno che il Padre ha su di lui a servizio degli uomini. Anche noi, sulle
orme di Samuele, degli apostoli e, soprattutto, di Gesù, siamo chiamati a
vivere in atteggiamento di continua disponibilità al volere di Dio: “Ecco, io
vengo, Signore, per fare la tua volontà”. San Paolo ci ricorda nella seconda
lettura che apparteniamo a Cristo, anzi siamo “tempio dello Spirito Santo”.
L’apostolo aggiunge che non si deve tradire la propria vocazione cristiana
alienando al Cristo la nostra esistenza e vendendola all’impudicizia. La
vocazione cristiana abbraccia e coinvolge non solo l’anima e lo spirito ma
anche il nostro corpo. Il corpo, infatti, non è altro che l’uomo stesso in
quanto vive e opera nel mondo ed è questo uomo che è toccato dalla redenzione
di Cristo.
La
chiamata di Gesù non si esaurisce nel primo incontro con lui attraverso l’atto
di fede. Egli ci parla continuamente attraverso molteplici mediazioni. Quindi
la fedeltà alla prima chiamata dev’essere continuamente confermata e si deve
manifestare anche nella concreta disponibilità a testimoniare la nostra fede.
Abbiamo visto che colui che sceglie di seguire Cristo diventa anche suo
testimone. Chi ascolta solo sé stesso o i miti del mondo, chi pensa di avere
già trovato la verità, di sapere tutto sul senso della vita, chi pensa solo ai
soldi, alla carriera, alla salute, certamente costui non afferra che ci possa
essere una parola diversa, superiore, capace di cambiare e arricchire sempre
più la sua esistenza.