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domenica 17 giugno 2018

LA FESTA TRA IL LAVORO E IL TEMPO LIBERO



Solo nell’ambito del tempo festivo il tempo del lavoro e il tempo libero acquisiscono senso pieno e profilo plausibile. Non appena si leva loro questa ulteriorità irriducibile festiva, si assiste al sorgere di un uomo angelicato che si dispera, o di un uomo impegnato che si abbrutisce. Il compito e la vacanza sono immediatamente catturati e travolti dal loro eccesso disumanizzante: una vita senza riposo o una vita senza lavoro non sono più vite umane. E infatti il disoccupato e il sovraoccupato patiscono non solo nel fisico, ma anche nello spirito e nella dignità.

Solo l’uomo che ha ancora una sapienza festiva, che sa interrompere il lavoro o il far nulla per “celebrare”, può avere la forza di non esagerare nella benedizione del riposo (che presto si capovolge in maledizione) o nella maledizione del lavoro (che gradualmente si trasforma in benedizione).

Così scopriamo che il tempo libero è il tempo più astratto, il meno umano, perché suppone che sia l’uomo a dare senso al proprio tempo: di fronte a questa ipotesi – apparentemente così facile e allettante – l’uomo non può far altro che soccombere e disperare; il tempo del lavoro è così un’ottima fuga, perché l’uomo trovi nella vita ordinaria relazioni che gli impongano il loro ritmo, il loro tempo: ma anche da questa ipotesi l’uomo si trova schiacciato, alienato, derubato a se stesso. Il tempo della festa è, invece, il tempo più concreto, quello che può annunciare il senso del tempo, rinunciando sia all’assoluta autonomia della “dimensione” divertita della vacanza sia all’assoluta eteronomia del “compito” lavorativo come anticipazione del giudizio finale.



Fonte: Andrea Grillo, Tempo graziato. La liturgia come festa, Messaggero, Padova 2018, pp. 94-95.