Romano Guardini, nel suo noto
libro Formazione liturgica, dopo ricordare che l’individuo prega secondo
la liturgia quando lo fa con una viva e intensa consapevolezza dell’Io
comunitario della Chiesa, insiste sull’educazione alla coscienza religiosa
comunitaria: “Il credente deve progressivamente dilatare la propria coscienza
religiosa, il proprio Io orante. Egli deve superare l’isolamento
individualistico, il soggettivismo romantico-sentimentale e nella preghiera,
nel sacrificio e nell’azione sacramentale deve porsi totalmente nella grande
comunità della Chiesa” (Formazione liturgica. Saggi, Edizioni O.R.,
Milano 1988, p. 74).
Autocomprendersi nel momento
della celebrazione come Chiesa, significa aprirsi ad un orizzonte più ampio di
quello semplicemente individuale e soggettivo. Certamente, la celebrazione
liturgica non esige la rinuncia al proprio io, alla propria storia e
originalità personali, richiede però che il credente si sappia situare in un orizzonte
più ampio e in atteggiamento di apertura e di dialogo. Si può affermare che
quando il soggetto si esprime con il “noi” tipico della liturgia, allora egli
vive la dimensione completa di se stesso; solo nella comunione egli è fino in
fondo se stesso autenticamente. La celebrazione cristiana, mentre rispetta il
tempo del nostro “io”, ci educa a crescere nella dimensione del tempo del “noi”
comunitario.