La meta ultima dei Salmi è
quella di svelare il volto di Dio ricorrendo alla contemplazione e all’ascolto
della sua rivelazione. I lineamenti di questa fisionomia sono inesauribili e
sono espressi attraverso una ricca simbolica antropomorfica.
Il Signore appare come Dio guerriero. La sua è una lotta per la
giustizia, in difesa del popolo e dell’oppresso (Sal 35) e del suo popolo
umiliato dalle superpotenze (Sal 60).
Il Signore appare anche come
il Dio creatore: “dalla parola del
Signore furono fatti i cieli… Egli ha parlato e tutto fu, ha comandato e tutto
esiste” (Sal 33,6-9). Lo spazio cosmico e tutta la storia sono celebrati nei
Salmi come l’area nella quale Dio si rivela (vedi, ad esempio, il Sal 147).
Il Signore appare anche come re supremo: “Tutti i tuoi fedeli dicano
la gloria del tuo regno” (Sal 145,11). Egli non è un imperatore impassibile e
neppure un Motore immobile alla maniera greca, ma è un re attivo e partecipe.
Egli “rende saldo il mondo, governa i popoli con rettitudine e giudica il mondo
con giustizia” (Sal 96,10.13).
Il Signore appare come l’alleato che è fedele alle promesse di
salvezza. Questo atteggiamento è espresso con un sostantivo ebraico di
difficile traduzione, che indica amore, fedeltà, intimità, grazia, bontà,
misericordia e scandisce con un’antifona costante tutto il credo d’Israele
contenuto nel Sal 136 (“perché il suo amore
è per sempre”).
Il Signore appare, infine,
come padre e madre. Esemplare in
questo senso è il Sal 131, compendio simbolico della relazione materna e
filiale che si instaura tra Dio e il fedele: “Io rimango quieto e sereno: come
un bimbo svezzato in braccio a sua madre…” (v. 2). Perciò nessuno sulla faccia
della terra si deve sentire orfano: “Mio padre e mia madre mi hanno
abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” (Sal 27,10).
Fonte: sintesi con qualche
cambiamento del testo di Gianfranco Ravasi, Spiritualità
biblica, Queriniana 2018, pp. 87-89.