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domenica 15 luglio 2018

IN GINOCCHIO




Perché il linguaggio corporale possa essere letto dall’uomo contemporaneo, deve avere le radici nel quotidiano. È indispensabile, perciò, riempire di nuova vita i segni ereditati dalla tradizione della Chiesa. È necessario che il presidente che guida una celebrazione con il suo atteggiamento diventi modello, assuma cioè carattere esemplare per l’assemblea.

La prassi liturgica è stata influenzata dagli usi e dai costumi delle culture circostanti. Infatti, mentre la civiltà ellenica ignorava il gesto della genuflessione, la cultura orientale, dominata dal monarca despotico, nel suo cerimoniale includeva il gesto dell’inginocchiarsi, che indicava un rapporto di sottomissione e di schiavitù. Così si trasferiscono a Cristo, Re e Signore dell’universo, i segni di sottomissione e di onore tributati all’imperatore.

Certo è che nella storia dell’ebraismo i gesti che accompagnavano la preghiera sono stati molto vari. Si entrava nel santuario a piedi nudi e purificati e quindi ci si inginocchiava prostrandosi fino a terra per esprimere la propria soggezione (Gen 18,2; 19,1; 24,26-27); a volte poi o si piegavano solo le ginocchia (1Re 8,34) oppure ci si prostrava per terra (Gs 7,6-10).

Era abitudine degli ebrei in esilio pregare in ginocchio, rivolti verso la città di Gerusalemme. “Le finestre della sua stanza [di Daniele] si aprivano verso Gerusalemme e tre volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito fare anche prima” (Dn 6,11).

Se per la tradizione – ebraica prima e cristiana poi – la posizione normale della preghiera è lo stare in piedi, è pur vero che essa conosce anche la preghiera in ginocchio o prostrati.

Così si esprime l’adorazione gioiosa. È il senso di stupore (adorazione, da ad os = portare la mano alla bocca in segno di meraviglia) che afferra l’uomo che si trova davanti a Dio e alle sue meraviglie: “Entrate: prostrati, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti” (Sal 95,6). Questa adorazione coinvolge non solo tutto l’uomo, ma anche tutti gli uomini; è adorazione universale: “Davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua” (Is 45,23; cf. Rm 14,11); “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10); “I ventiquattro anziani si prostrano davanti a Colui che siede sul trono e adorano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono” (Ap 4,10).


Fonte: Alessandro Amapani, Segni e gesti. Nell’umanità della liturgia tutta l’umanità di Dio, San Paolo 2017, pp. 51-53.