Is
50,5-9°; Sal 114 (116); Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
Il messaggio di questa
domenica lo possiamo riassumere con le parole di san Paolo, riproposte dal
canto al Vangelo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del
Signore, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per
il mondo” (cf. Gal 6,14). Ciò che per l’apostolo Paolo è un motivo di vanto e
di gloria, è stato un tempo per san Pietro motivo di scandalo. Infatti, nel
brano evangelico odierno vediamo come dinanzi alle parole di Gesù che annuncia
il destino di sofferenza e di morte che lo attende, Pietro non accetta che
questa sia la sorte del Messia e cerca in ogni modo di dissuaderlo dall’abbracciare
questo cammino di croce. Quante volte anche noi siamo dalla parte di Pietro con
i nostri criteri e con le nostre valutazioni! Infatti siamo inclini a pensare
che il successo escluda la sofferenza. Gesù invece propone una visione
dell’esistenza molto diversa, anzi sconcertante, in cui morte e vita, sconfitta
e vittoria vanno misteriosamente insieme.
Anche la prima lettura propone
lo sconcertante cammino della croce. Il profeta Isaia parla di un misterioso
personaggio, il “Servo di Dio”, incrollabilmente fedele alla sua vocazione e
alla sua missione nonostante le persecuzioni e gli oltraggi, figura profetica
che annuncia Gesù. Questo personaggio, oggetto di persecuzione e umiliazione,
risponde con la fermezza e la sicurezza di chi è sicuro della vittoria: “Il
Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. I criteri con i cui
noi misuriamo la riuscita di una vita devono cedere di fronte al criterio primo
e assoluto: il misterioso disegno di Dio su di noi. E’ quello che Gesù ricorda
a san Pietro: “tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
In modo simile, nella seconda
lettura l’apostolo Giacomo parlando di una fede operosa ci ricorda che il regno
di Dio non giunge nel clamore nel trionfalismo, ma nel sacrificio, nella
dedizione, nella fedeltà quotidiana ai propri doveri, nella disponibilità a
donare la propria vita per gli altri. E quanto insegna Gesù, rivolgendosi a
tutti coloro che vogliono far strada con lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ma poi egli aggiunge:
“chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Parole
che, nella loro paradossalità, hanno un significato assai netto: chi vuole
essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso come
misura di ogni cosa; deve rinuncia a difendersi e accettare di portare lo
strumento della propria condanna a morte; deve uscire dai meccanismi di
autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Se accettiamo di
condividere la scelta di fedeltà estrema del nostro Maestro e Signore
parteciperemo anche alla sua vittoria finale sulla morte.