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venerdì 21 settembre 2018

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 23 Settembre 2018






Sap 2,12.17-20; Sal 53 (54); Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37



Tra la via della croce, tema della domenica scorsa, e la via del servizio che ci viene proposta oggi dalla parola di Dio c’è una profonda affinità. Dopo la rivelazione del mistero di sofferenza verso cui si incammina, Gesù formula il codice dell’autorità cristiana come servizio e dono di sé per gli altri. Così comprendiamo quale senso Egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la vita per gli altri.



Le tre letture bibliche parlano di una serie di comportamenti inaccettabili da colui che intende vivere da uomo giusto. Constatiamo infatti che non è la giustizia ciò che il più delle volte interessa agli uomini, ma il prestigio, la grandezza, la carriera (cf. lettura evangelica), il possesso (cf. seconda lettura). Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto, magari all’omicidio e alla guerra (cf. seconda e anche prima lettura). Infatti, l’avidità, l’intolleranza, la gelosia, l’asservimento agli istinti umani del possesso e del dominio hanno sempre generato guerre e conflitti larvati o dichiarati anche talvolta nelle comunità cristiane e nella Chiesa. Prendendo come punto di riferimento principale il brano evangelico, vediamo che domenica scorsa san Pietro cercava di dissuadere Gesù dal percorrere il cammino della croce; oggi mentre Gesù annuncia che sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discutendo su questioni di prestigio, su a chi aspettano i primi posti. Insomma, sembra che Gesù e i suoi discepoli parlano linguaggi diversi, sono mossi da interessi contrastanti, non riescono a comunicare tra loro. I pensieri di Gesù sono in aperta contraddizione con i pensieri dei discepoli. Comprendere la parola di Gesù implica un coinvolgimento spirituale che essi al momento non hanno raggiunto.



Pazientemente il Signore, arrivati a casa - dice il testo - cerca di spiegare quali devono essere i rapporti in seno alla comunità di coloro che intendono seguirlo e diventare discepoli: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesù aggiunge alle sue parole il tenero gesto dell’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, il gesto intende essere un pressante appello alla totale disponibilità, all’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo nel suo nome è accogliere lui stesso come Salvatore inviato dal Padre.



Il servizio è il segno del vero discepolo di Cristo, è il frutto di un amore dimentico di sé, e - ad esempio di Cristo - ha la sua massima espressione nel dono della vita per gli uomini. Il servizio cristiano non è passivo, ma attivo. Servire non significa sottomettersi a chiunque, ma mettere le nostre risorse spirituali e materiali, noi stessi a disposizione della promozione dei nostri fratelli e sorelle. San Giacomo, nella seconda lettura, parla della “sapienza che viene dall’alto”. La saggezza cristiana procede per vie pacifiche, con la persuasione, cerca di evitare dissidi e contrasti, limita la polemica, evita la maldicenza; si pone invece al servizio della giustizia.