Bar 5,1-9; Sal 125; Fil
1,4-6.8-11; Lc 3,1-6
La prima domenica di Avvento
ci invitava all’attesa vigilante. Oggi invece siamo invitati a “preparare la
via del Signore”. Nel brano evangelico emerge la figura di Giovanni Battista,
l’ultimo dei profeti mandato da Dio. Giovanni, con la propria vita richiama la
forza purificatrice del “deserto”; con la sua predicazione, al seguito di quella
dei profeti e, in particolare, del profeta Baruc, di cui oggi leggiamo un brano
nella prima lettura, annuncia il prossimo compiersi della salvezza nel Messia.
Si tratta di un annuncio gioioso perché la salvezza è anzitutto opera
meravigliosa compiuta da Dio: “Gerusalemme, sorgi e sta’ in alto: e contempla
la gioia che a te viene dal tuo Dio” (antifona alla comunione – Bar 5,5; 4,36).
La salvezza viene descritta come una grande trasformazione che si compie
nell’uomo. Questa trasformazione è anzitutto opera della grazia di Dio. Ce lo
ricorda il salmo responsoriale (Sal 125) con il ritornello “Grandi cose ha
fatto il Signore per noi”, parole riprese quasi alla lettera da Maria nel suo Magnificat (Lc 1,49). Ma la grazia
rimane inattiva se non interviene e coopera con essa la nostra libertà: “Dio
che ha fatto te senza di te, non salverà te senza di te” (sant’Agostino).
Perciò il messaggio di questa seconda domenica di Avvento può essere riassunto
come un invito alla conversione. San Giovanni promette: “Ogni uomo vedrà la
salvezza di Dio!”, ma prima ammonisce i suoi ascoltatori con queste parole:
“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. La salvezza è
dono, grazia di Dio, ma anche azione, cooperazione dell’uomo. Non basta
attendere passivamente l’irrompere dell’azione di Dio. La salvezza presuppone
un cambiamento nell’uomo, cioè l’abbandono del male e del peccato e l’opzione
decisa per il bene. E’ talvolta un cammino duro e difficile, che esige il
coraggio di spianare le montagne e di colmare i burroni.
Attraverso una fitta
collezione di simboli e di imperativi gioiosi il cap. 5 del libro di Baruc vuole
lanciare un messaggio di fiducia e di speranza. Nel brano della prima lettura,
preso appunto dal cap. 5 di Baruc, il profeta legge il fatto storico del
ritorno degli Ebrei esiliati, nell’anno 538 a . C., e della conseguente restaurazione di
Gerusalemme come pellegrinaggio di ritorno gioioso dell’intera umanità alla
condizione primordiale e come restaurazione messianica. La conversione è cambiare
strada, ritornare a casa, ritrovare il senso del proprio camminare. L’immagine
della strada può essere assunta come simbolo del tempo di Avvento. Una strada
che deve essere appianata per condurre anche noi, come un giorno gli esuli da
Babilonia, a ricostruire la città di Dio, a ritrovare la propria libertà e
dignità. La conversione quindi non è solo rinuncia. San Paolo nella seconda
lettura ci ricorda che la vera conversione non è soltanto allontanamento dal
peccato; implica anche la crescita nell’amore fino al suo pieno compimento. In
altre parole, convertirsi significa ritrovare la freschezza e l’originalità
della propria fede, del proprio rapporto con Dio e con gli altri. Si tratta di
verificare quale posto ha veramente Dio nella nostra esperienza quotidiana,
quale influenza ha il vangelo nelle nostre concrete scelte di vita.
Se la conversione è un
ritrovare Dio nella nostra vita, la partecipazione all’eucaristia è dono di
conversione perché in essa Dio si rende presente in mezzo a noi. L’eucaristia
ci insegna a leggere la storia con gli occhi di Dio, a “valutare con sapienza i
beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo” (orazione dopo la
comunione).