Sof 3,14-18°; Is 12,2-6; Fil
4,4-7; Lc 3,10-18
Il
tema centrale e tradizionale della terza domenica di Avvento è la gioia “perché
il Signore è vicino” (seconda lettura), anzi è in mezzo a noi come “salvatore
potente” (prima lettura). Infatti è lui che battezza “in Spirito Santo e fuoco”
(vangelo); il “fuoco” nella prospettiva di Luca è il simbolo dello Spirito
Santo che Gesù comunica ai discepoli a pentecoste. Se il messaggio della
seconda domenica di Avvento era un pressante invito alla conversione per far
fruttificare in noi il dono della salvezza, oggi siamo invitati alla gioia,
frutto del dono della salvezza. Domenica scorsa, il personaggio centrale era
Giovanni Battista che invitava a preparare le vie del Signore. Oggi il
personaggio centrale è Gesù, datore dello Spirito.
L’Avvento,
proiettandoci verso il mistero della presenza salvatrice del Cristo, non può
non essere caratterizzato dalla gioia. Quando però fin dal Medioevo l’Avvento
aveva assunto un aspetto fortemente penitenziale, questa domenica interrompeva
la penitenza e diventava una festa gioiosa, quasi anticipo del Natale ormai
vicino. Il senso festivo e gioioso veniva sottolineato da alcuni segni esteriori,
quali ad esempio il fatto di indossare per la celebrazione eucaristica i
paramenti colore rosa. Ciò è ancora possibile, ma certamente molto meno
significativo in quanto l’Avvento ha perso quel forte aspetto penitenziale che
lo assimilava alla Quaresima. In ogni modo, la liturgia odierna è
contrassegnata da un forte richiamo alla gioia, che viene vista come
espressione immediata della fede che riconosce la vicinanza del Signore.
La gioia cristiana, di cui parliamo, non è
vuota, senza senso, ma è fondata sulla presenza di Dio che salva. In questo
contesto, possiamo affermare che l’eucaristia è la gioia del nostro
pellegrinaggio. Si tratta di una gioia anzitutto interiore, profonda, che si
colloca nella sfera della salvezza, nella ricerca sincera di Dio, nella
persuasione ferma di averlo come propria eredità, nella certezza incrollabile
di poter contare su di lui in ogni evenienza. Questa gioia è misteriosa, perché
può coesistere anche col dolore fisico e morale, con l’umiliazione, la
tentazione, la solitudine. Paradosso cristiano, espresso in modo sublime da san
Francesco d’Assisi quando dice: “E’ tanto il bene che m’aspetto che ogni pena
m’è diletto”. L’uomo può essere ricco, pieno di salute e, nonostante tutto,
sentire il cuore profondamente insoddisfatto. Se non si è ricchi dentro, ricchi
di fede e di speranza, difficilmente si può avere l’esperienza della gioia
cristiana. La spiritualità cristiana della gioia però non deve attenuare in noi
la partecipazione cordiale ai beni di questo mondo e alla sua condivisione
gioiosa con gli uomini, nostri fratelli. Anzi nella condivisione fraterna e
gioiosa dei beni di questo mondo si esprimono i frutti della salvezza portata
da Cristo, e trovano compimento le parole profetiche: “Lo Spirito del Signore è
sopra di me, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (canto al
vangelo – Is 61,1).