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domenica 23 dicembre 2018

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2018




Messa della notte



Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14



 “Oggi è nato per noi il Salvatore”. E’ un annuncio che si ripete più volte in questa santissima notte (antifona d’ingresso, canto al vangelo, lettura evangelica, antifona alla comunione).



Gesù “è nato per noi”. E’ logico quindi che ci domandiamo cosa arreca a noi questa nascita. La risposta la troviamo nelle parole con cui si chiude il vangelo di questa notte: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”, e cioè pace a tutti gli uomini perché Dio ha liberamente deciso di amarli. La prima lettura ci ricorda che tutta la storia dell’umanità è un faticoso cammino nelle tenebre e nell’oppressione alla ricerca di luce, di verità, di speranza e di pace. Gesù, il “Principe della pace”, di cui parla il profeta Isaia, è la risposta definitiva di Dio alle attese dell’umanità. “Egli - dice san Paolo nella seconda lettura - ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga”.



Nel mistero della nascita di Gesù, gli spiriti celesti al tempo stesso che annunziano “sulla terra pace agli uomini”, proclamano “gloria a Dio nel più alto dei cieli”. Che cos’è la gloria di Dio? E’ Dio stesso in quanto si rivela nella sua maestà, nella sua potenza, nello splendore della sua santità. Dio manifesta la sua gloria con i suoi interventi meravigliosi nella storia. Ma, secondo san Giovanni, la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4-40) ed è riconoscibile solo attraverso la fede (cf. Gv 2,11). In altre parole, la gloria di Dio è Dio stesso in quanto manifesta il suo amore, un amore che si riflette sul volto di Cristo e da lui arriva a noi. La “pace sulla terra” quindi è la manifestazione storica della gloria di Dio, la manifestazione della volontà salvifica di Dio in Cristo per noi. Possiamo quindi affermare anche che quando gli uomini siamo nella pace, viviamo in pace, Dio è glorificato in noi: la gloria di Dio è l’uomo redento, l’uomo che ha accolto Gesù come Salvatore. Gesù, “Principe della pace”, appare nella storia dell’umanità come segno di riconciliazione con Dio e con gli uomini. Con lui “la vera pace è scesa a noi dal cielo” (antifona d’ingresso). Con Cristo inizia il tempo della nuova ed eterna alleanza tra l’uomo e Dio, un tempo - ormai definitivo - di pace, d’intimità e familiarità dell’uomo con Dio.



La salvezza di Dio ci viene offerta in forma umana, nella povertà e debolezza, nel “segno” di un bambino, che assume la nostra debolezza: “la nostra debolezza è assunta dal Verbo” (prefazio III del Natale). Perciò la tradizione cristiana ha fatto del Natale una festa di profonda solidarietà umana. Il Natale è un invito a riscoprire i veri valori che danno spessore alla nostra esistenza: il senso della vita, il gusto di ciò che è essenziale, il sapore delle cose semplici, lo stupore della vera libertà, la voglia di costruire la propria esistenza nel servizio agli altri e nell’impegno quotidiano per la realizzazione di un mondo riconciliato. Il buon Natale che ci scambiamo vicendevolmente dev’essere anzitutto un augurio di pace e di serenità intensa e profonda, che ci renda capaci di avvicinarci agli altri per farli partecipi della nostra pace, più felici e più fratelli, più inseriti nella grande famiglia umana e cristiana.





Messa dell’aurora




Is 69,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20




Alla luce della prima lettura, tratta dal profeta Isaia, il mistero del Natale appare come la manifestazione dell’amore di Dio che salva. Anche la lettura apostolica parla del manifestarsi della bontà di Dio, salvatore nostro. San Paolo, rivolgendosi al suo discepolo Tito, afferma che la prova massima della sua bontà e del suo amore Dio ce la fornisce donandoci il suo proprio Figlio. Egli ha congiunto il nostro limite alla sua infinità, ci ha restituito la possibilità di esistere nella speranza. Il Natale celebra il dono dell’amore divino nel Cristo, rivelazione del Padre e salvezza del mondo. Questo dono, fatto a tutti, apre il cuore dell’uomo alla speranza. 



Nel brano evangelico vediamo che i primi destinatari di questa rivelazione sono alcuni umili pastori che pascolano il loro gregge nelle vicinanze di Betlemme. E’ significativo che l’annuncio della nascita di Gesù sia dato a poveri pastori, e non ai potenti di Gerusalemme o ai sacerdoti del tempio. Vediamo poi che la risposta dei pastori alle parole dell’angelo è stata coerente e immediata: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere...” E san Luca aggiunge: “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. I pastori quindi, obbedendo alla rivelazione ricevuta, si recano a Betlemme e vedono il Bambino. In questo modo, conosciuto l’avvenimento, riferiscono, e cioè annunciano agli altri quanto essi hanno udito e visto nel loro incontro con Gesù. Il vangelo non nominerà più i testimoni di questa prima rivelazione. Secondo san Luca, dobbiamo a Maria, la Madre di Gesù, se si è conservato il ricordo di queste circostanze: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Solo colui che è attento ascoltatore della Parola può essere portatore di quell’annuncio che suscita la meraviglia della fede.  



L’eucaristia rievoca e ripresenta la morte e la risurrezione del Cristo, ma, con il mistero della Pasqua, e in ordine ad esso, ricorda e rinnova, in certo modo, tutta la storia della salvezza, di cui l’incarnazione e la nascita di Gesù sono gli inizi. Il Natale del Signore segna l’inizio di quel cammino salvifico che porta Gesù a farsi in tutti simile agli uomini, fuorché nel peccato, fino alla morte di croce: è il cammino che, da una parte, prepara la Pasqua e ad essa conduce e, dall’altra, riceve significato salvifico proprio dalla Pasqua.



L’orazione dopo la comunione ci indica l’atteggiamento con cui dobbiamo celebrare il Natale: “conoscere con la fede le profondità del mistero, e viverlo con amore intenso e generoso”.





Messa del giorno




Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6: Gv 1,1-18



La gioia del Natale sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.



La lettura evangelica è presa dal mirabile inno che fa di prologo al vangelo di Giovanni, vera e profonda meditazione sul mistero del Natale. San Giovanni annuncia che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annuncia che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma su Dio stesso. Le parole iniziali del vangelo di Giovanni “in principio” evocano idealmente quelle parallele di Gen 1,1 riguardanti la creazione, tema a cui fa riferimento anche la colletta quando dice: “O Dio, che, in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti”. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero dell’uomo che diventa figlio di Dio. Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il prefazio della messa: il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità, e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale. La stessa dottrina esprime san Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione nella Liturgia delle Ore: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gli inizi della nostra salvezza. La prima lettura, tratta da Isaia, annuncia profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”, parole riprese dal ritornello del salmo responsoriale, come ormai realizzate e riproposte dall’antifona alla comunione.



San Leone Magno, contemplando il mistero dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa esortazione è implicita nel testo del prologo di san Giovanni quando si dice che a colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di “diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta che ci conduce verso gli spazi della vita divina. Come dice la Costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo (n. 22). L’umanesimo cristiano radica nel divino e nell’eterno la nostra povera condizione mortale.



L’eucaristia che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione della vita divina.