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venerdì 22 febbraio 2019

DOMENICA VII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 24 Febbraio 2019



1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1Cor15,45-49; Lc 6,27-38


L’affermazione di san Giovanni “Dio è amore” (1Gv 4,8) sembra quasi anticipata nella dolcissima e soave preghiera del Sal 102, da cui è tratto il salmo responsoriale di questa domenica. Il salmista sente il dovere di lodare il Signore e ringraziarlo per gli innumerevoli benefici concessi a lui e al suo popolo nel corso della storia. L’odierna liturgia propone la prima parte del salmo che canta l’amore e il perdono di Dio, un perdono che supera le rigide leggi della giustizia. Il salmista parla con tono commosso della pazienza di Dio e della sua bontà e magnanimità nel perdonare i peccati. Nel tempo della Chiesa, quest’inno alla misericordia di Dio diventa anche un inno a Gesù Cristo, in cui si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini (cf. Tit 3,4). La liturgia di questa domenica al tempo stesso che ci invita a celebrare la misericordia di Dio, ci propone di imitarla. Infatti il vertice dell’insegnamento di Gesù nel vangelo d’oggi è costituito dall’invito a diventare “misericordiosi” come lo stesso Padre celeste è misericordioso.


La liturgia eucaristica inizia col canto d’ingresso il quale è una fiduciosa e gioiosa confessione di fede nella misericordia di Dio: “Confido, Signore, nella tua misericordia. Gioisca il mio cuore nella tua salvezza, canti al Signore che mi ha beneficato” (canto d’ingresso - Sal 12,6). La prima lettura ci propone la grandezza di animo di Davide che, pur avendo occasione di eliminare il suo nemico, il re Saul, si mostra misericordioso con lui e lo risparmia perché, nonostante tutto, “è il consacrato del Signore”. Con questo gesto Davide, eminente figura messianica, annuncia il superamento della vendetta e apre la strada al perdono. Gesù nel brano evangelico odierno proclama il suo nuovo comandamento sull’amore che si estende anche ai nemici, che non solo bisogna amare, ma anche fargli del bene, benedirli e per i quali si deve pregare. L’insegnamento di Gesù è fondato su due principi: il primo, preso dalla saggezza degli antichi, dice “ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”; il secondo è squisitamente teologico e dice “siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”. Il modello proposto è infinito, è l’amore stesso di Dio. In particolare, il perdono dei nemici è un gesto di bontà, di grandezza e di sapienza, perché è imitazione del modo di agire di Dio, che “è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi”. Alla fine del brano evangelico viene enunciato il criterio che regola il rapporto dell’agire dell’uomo e quello di Dio: “con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Si fa esperienza dell’amore salvifico di Dio nella misura in cui si è generosi e misericordiosi con gli altri, anche se nemici. 


Lungo l’anno liturgico ritorna più volte il tema dell’amore come centro della vita cristiana. C’è forse il rischio di assuefarsi al solito e vago discorso che ci richiama ad amarci gli uni gli altri. L’appello di Gesù è però estremamente concreto, realistico, al tempo stesso che esigente e radicale. L’amore cristiano deve essere vissuto in modo profondo e totalizzante, come comportamento interiore ed esteriore che abbraccia tutti, che non esclude nessuno. Se è rivoluzionario l’annuncio delle “beatitudini”, proclamato domenica scorsa, lo è forse anche di più l’annuncio di un amore che insegna ad amare l’altro solo perché è l’altro. Questo ideale sublime lo ha incarnato perfettamente Cristo, l’ultimo Adamo, la cui immagine sarà compiuta in noi con la nostra partecipazione piena alla risurrezione del Signore (cf. seconda lettura).