1Sam
26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1Cor15,45-49; Lc 6,27-38
L’affermazione
di san Giovanni “Dio è amore” (1Gv 4,8) sembra quasi anticipata nella
dolcissima e soave preghiera del Sal 102, da cui è tratto il salmo
responsoriale di questa domenica. Il salmista sente il dovere di lodare il
Signore e ringraziarlo per gli innumerevoli benefici concessi a lui e al suo
popolo nel corso della storia. L’odierna liturgia propone la prima parte del
salmo che canta l’amore e il perdono di Dio, un perdono che supera le rigide
leggi della giustizia. Il salmista parla con tono commosso della pazienza di
Dio e della sua bontà e magnanimità nel perdonare i peccati. Nel tempo della
Chiesa, quest’inno alla misericordia di Dio diventa anche un inno a Gesù Cristo,
in cui si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini (cf.
Tit 3,4). La liturgia di questa domenica al tempo stesso che ci invita a
celebrare la misericordia di Dio, ci propone di imitarla. Infatti il vertice
dell’insegnamento di Gesù nel vangelo d’oggi è costituito dall’invito a
diventare “misericordiosi” come lo stesso Padre celeste è misericordioso.
La
liturgia eucaristica inizia col canto d’ingresso il quale è una fiduciosa e
gioiosa confessione di fede nella misericordia di Dio: “Confido, Signore, nella
tua misericordia. Gioisca il mio cuore nella tua salvezza, canti al Signore che
mi ha beneficato” (canto d’ingresso - Sal 12,6). La prima lettura ci propone la
grandezza di animo di Davide che, pur avendo occasione di eliminare il suo
nemico, il re Saul, si mostra misericordioso con lui e lo risparmia perché,
nonostante tutto, “è il consacrato del Signore”. Con questo gesto Davide,
eminente figura messianica, annuncia il superamento della vendetta e apre la
strada al perdono. Gesù nel brano evangelico odierno proclama il suo nuovo
comandamento sull’amore che si estende anche ai nemici, che non solo bisogna
amare, ma anche fargli del bene, benedirli e per i quali si deve pregare.
L’insegnamento di Gesù è fondato su due principi: il primo, preso dalla
saggezza degli antichi, dice “ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche
voi fatelo a loro”; il secondo è squisitamente teologico e dice “siate
misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”. Il modello proposto è
infinito, è l’amore stesso di Dio. In particolare, il perdono dei nemici è un
gesto di bontà, di grandezza e di sapienza, perché è imitazione del modo di
agire di Dio, che “è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi”. Alla fine del
brano evangelico viene enunciato il criterio che regola il rapporto dell’agire
dell’uomo e quello di Dio: “con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi
in cambio”. Si fa esperienza dell’amore salvifico di Dio nella misura in cui si
è generosi e misericordiosi con gli altri, anche se nemici.
Lungo
l’anno liturgico ritorna più volte il tema dell’amore come centro della vita
cristiana. C’è forse il rischio di assuefarsi al solito e vago discorso che ci
richiama ad amarci gli uni gli altri. L’appello di Gesù è però estremamente
concreto, realistico, al tempo stesso che esigente e radicale. L’amore
cristiano deve essere vissuto in modo profondo e totalizzante, come
comportamento interiore ed esteriore che abbraccia tutti, che non esclude
nessuno. Se è rivoluzionario l’annuncio delle “beatitudini”, proclamato
domenica scorsa, lo è forse anche di più l’annuncio di un amore che insegna ad
amare l’altro solo perché è l’altro. Questo ideale sublime lo ha incarnato
perfettamente Cristo, l’ultimo Adamo, la cui immagine sarà compiuta in noi con
la nostra partecipazione piena alla risurrezione del Signore (cf. seconda
lettura).