Ger 1,4-5.17-19; Sal 70 (71); 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
La lettura evangelica
propone alla nostra attenzione un noto episodio della vita di Gesù che viene
raccontato con leggere varianti dai tre evangelisti sinottici, Matteo, Marco e
Luca. Proprio a Nazaret, dove ha passato gran parte della sua vita, Gesù trova
l’ostilità dei suoi compaesani e viene apertamente contestato. E’ vero, anche i
nazaretani che ascoltano Gesù sono colpiti dalla novità e autorevolezza del suo
insegnamento. Ciò nonostante, malgrado lo stupore della gente, Gesù viene
rifiutato dai suoi compaesani. Di fronte a questa reazione, il Signore non
trova altra spiegazione se non quella che la sapienza popolare ha condensato nel
proverbio: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Gesù è consapevole
quindi di dover percorrere la sorte dei profeti, che nella tradizione biblica
sono contestati e rifiutati da coloro ai quali sono stati inviati. Come ci
ricorda il brano della prima lettura, i profeti chiamati ad annunciare la
parola di Dio non vengono ascoltati perché scomodi, provocatori, perché
puntualmente mettono a nudo il cuore indurito del popolo. Tuttavia, Gesù,
malgrado lo scandalo provocato dalla sua persona, continua a predicare la buona
novella, non si lascia condizionare dall’insuccesso e dal rifiuto dei suoi
concittadini.
Volendo trarre da
questo episodio un insegnamento per nostra la vita, notiamo che il motivo della
freddezza dei nazaretani nei confronti di Gesù è il fatto che egli non sembrava
essere che uno di loro, uno qualunque, uno venuto su con loro. Egli formava
parte di una famiglia di poco conto. Anche se compiva prodigi, impartiva
insegnamenti superiori, per loro era sempre il “figlio di Giuseppe”, un uomo
semplice del paese. Come può essere il profeta di Dio? Come può far passare
dalle sue mani la potenza dell’Altissimo? Inoltre, i cittadini di Nazaret si
erano costruita un’idea del Messia, legata probabilmente a sogni di
restaurazione temporale, che non combaciava con quella offerta da Gesù. La sua
improvvisa affermazione invece di riempirli di entusiasmo viene a ferire la
loro gelosia, e insieme il loro orgoglio religioso. In definitiva, essi non
vogliono mettere in discussione i loro schemi mentali. Nei nazaretani c’è la
curiosità, ma non la fede. Anche noi sperimentiamo talvolta come la parola del
Signore fatica ad entrare nel nostro cuore reso autosufficiente da pregiudizi e
posizioni preconcette. Infatti uno dei motivi per cui la parola di Dio può essere
inefficace in noi è la durezza del nostro cuore, l’attaccamento incondizionato
ai propri schemi mentali, alla propria visione delle cose, al proprio modo di
affrontare la vita. Insomma, la parola di Dio si scontra, non di rado, con il
nostro egoismo. L’orgoglio ci impedisce di metterci in discussione e quindi di
accogliere il messaggio che ci chiama a cambiare condotta e a rinnovarci.
Di fronte alla tentazione della superbia e
dell’autosufficienza, che offuscano la mente umana e le impediscono di conoscere
“i misteri del regno dei cieli”, risuona il messaggio di san Paolo (seconda
lettura): senza la carità, senza l’amore per Dio e per gli uomini, ogni umana
conquista non è che polvere che il vento del tempo disperde nel nulla (cf.
anche l’orazione colletta alternativa).