In un volumetto che raccoglie tre diversi
interventi (W. Kasper – K. Koch – G. Augustin, La liturgia. L’arte di diventare cristiani, Libreria Editrice
Vaticana 2018), i due Cardinali, Kasper e Koch, fanno riferimento alla “riforma
della riforma” della liturgia nel contesto della perdita del senso del sacro. Kasper (p. 33)
afferma che “in una civiltà secolarizzata che appiattisce tutto, e che si
svuota progressivamente di significato, la salvezza verrà dall’esperienza della
sublimità e del fascino del sacro, del Santo”, e aggiunge, citando Romano
Guardini, che non basta la riforma dei singoli riti, e “neppure una riforma
della riforma nel senso di abolire singole riforme già fatte, o sostituirle con
altre. Non ci si può baloccare all’infinito con la liturgia”. Kasper intende la
riforma della riforma come “una nuova cultura liturgico-sacramentale in cui la
liturgia emerga come ‘epifania’, là dove l’infinita sublimità e il fascino
sconfinato del Dio santo possono essere sperimentati nei momenti di silenzio,
in ciò che si vede si ascolta, nella supplica e nella lode”. Non si tratta
quindi di mettere in questione la riforma di Paolo VI, ma di celebrarla in modo
tale che la liturgia sia veramente una esperienza profonda della presenza di
Dio e ciò attraverso i diversi linguaggi liturgici: silenzio, segni, ascolto,
supplica, lode.
Anche Koch dedica, nel suo intervento, un lungo
paragrafo alla “riforma della riforma liturgica” (pp. 66-69). Il cardinale
critica, in modo salomonico, sia “le tendenze conservatrici di molti
progressisti”, “irriducibili difensori” della riforma del post-Concilio, sia i
“livorosi critici della riforma post-conciliare”. Dei primi dice che
identificano “la riforma del post-Concilio come punto terminale, da difendere
con le unghie e con i denti”. Dei secondi afferma “che attaccano non solo i
risultati ma anche i fondamenti conciliari, convinti che la salvezza verrà solo
dalla completa abolizione della riforma”. In seguito, Koch propone una terza
via: “Bisogna uscire dalla questione, tanto legittima quanto critica, se nella
riforma liturgica post-conciliare siano stati realizzati in pieno i desideri
dei Padri conciliari, o se, all’opposto, la riforma non sia rimasta indietro
rispetto alle norme generali fissate dalla Sacrosanctum
Concilium, o se in qualche modo non si sia spinta troppo avanti”.
Come si evince da quanto detto, i due cardinali
hanno una visione alquanto diversa di come ridare alla liturgia un nuovo
slancio. Kasper propone una nuova cultura liturgica che aiuti a vivere la liturgia
come “epifania” della presenza salvifica di Dio. Koch propone, invece, un
riesame della riforma liturgica post-conciliare. Noto che i due interventi sono
stati pubblicati in lingua tedesca nel 2012 (il volumetto in italiano è una
traduzione, pubblicata nel 2018). Credo che una risposta alla problematica
della “riforma della riforma” l’ha data papa Francesco nel suo discorso del 24
agosto 2017, quando ha affermato la irreversibilità della riforma
post-conciliare, irreversibilità che va capita nel contesto dei “giusti criteri
ispiratori” che hanno guidato l’opera dei pontefici. Interpretare la
irreversibilità della riforma come irreversibilità dei riti e dei testi dei
libri liturgici è da miopi. La storia ci insegna che sia Pio V che Paolo VI
nella promulgazione dei loro Messali hanno usato formule vincolanti: “Quanto
abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e
in futuro…” (Costituzione Missale Romanum
di Paolo VI). E ciò nonostante, i due Messali hanno avuto nelle successive
edizioni tipiche dei cambiamenti più o meno rilevanti, che hanno però
rispettato i criteri ispiratori dei rispettivi Messali. Un caso a parte,
anomalo, è il Messale del 1962, adoperato come forma straordinaria del rito
romano da più di 50 anni senza nessun cambiamento.