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domenica 12 maggio 2019

LUTERO E LA PRESENZA DI CRISTO NELL’OSTIA CONSACRATA






Lutero non si stancava mai di ripetere che la presenza di Cristo nell’ostia è reale ma lo è solo durante la cerimonia della comunione. Tuttavia, nel 1543 circolò la voce che un sacerdote a Eisleben, dopo il servizio religioso, durante il pranzo aveva bevuto del vino consacrato. La notizia suscitò un’accesa discussione su quanto tempo Cristo resti presente nei sacramenti; inizialmente, infatti, Lutero aveva ipotizzato che la presenza di Cristo negli elementi della comunione durasse soltanto una o due ore dopo il culto, in modo che si avessi il tempo di portare l’ostia fuori dalla chiesa, ai malati o ai moribondi. Ora si vide costretto a precisare meglio la questione. La presenza di Cristo -sostenne- non inizia e finisce in un solo istante, matematicamente determinabile, ma ha una durata. Comincia “con l’inizio del Pater Noster e continua sinché tutti hanno preso la comunione, il vino è stato bevuto, le ostie mangiate, i fedeli congedati e il sacerdote ha lasciato l’altare”.

Un vero e proprio culto dell’ostia consacrata al di fuori della cerimonia era dunque escluso, ma anche Lutero riconosceva di inginocchiarsi “propter reverentiam”, in segno di rispetto, quando viene portata l’ostia, e anche per lui le particole consacrate non devono essere buttate, bensì mangiate dai sacerdoti. Il vino versato doveva essere accuratamente asciugato con un panno. Nel 1530 Gabriel Zwilling chiese consiglio a Lutero su cosa fare di un’ostia che era rimasta “in bocca a un moribondo, proprio sulla lingua”. Anche se l’ostia non è in sostanza che una sfoglia di grano, Lutero gli consigliò, come nel Medioevo, di bruciarla.


Fonte: Anselm Schubert, Pasto divino. Storia culinaria dell’eucaristia, Carocci editore, Roma 2019, pp. 96-97 (le note non sono state riprodotte).