Lutero non si stancava mai di
ripetere che la presenza di Cristo nell’ostia è reale ma lo è solo durante la
cerimonia della comunione. Tuttavia, nel 1543 circolò la voce che un sacerdote
a Eisleben, dopo il servizio religioso, durante il pranzo aveva bevuto del vino
consacrato. La notizia suscitò un’accesa discussione su quanto tempo Cristo
resti presente nei sacramenti; inizialmente, infatti, Lutero aveva ipotizzato
che la presenza di Cristo negli elementi della comunione durasse soltanto una o
due ore dopo il culto, in modo che si avessi il tempo di portare l’ostia fuori
dalla chiesa, ai malati o ai moribondi. Ora si vide costretto a precisare
meglio la questione. La presenza di Cristo -sostenne- non inizia e finisce in un
solo istante, matematicamente determinabile, ma ha una durata. Comincia “con
l’inizio del Pater Noster e continua
sinché tutti hanno preso la comunione, il vino è stato bevuto, le ostie
mangiate, i fedeli congedati e il sacerdote ha lasciato l’altare”.
Un vero e proprio culto
dell’ostia consacrata al di fuori della
cerimonia era dunque escluso, ma anche Lutero riconosceva di inginocchiarsi
“propter reverentiam”, in segno di rispetto, quando viene portata l’ostia, e
anche per lui le particole consacrate non devono essere buttate, bensì mangiate
dai sacerdoti. Il vino versato doveva essere accuratamente asciugato con un
panno. Nel 1530 Gabriel Zwilling chiese consiglio a Lutero su cosa fare di
un’ostia che era rimasta “in bocca a un moribondo, proprio sulla lingua”. Anche
se l’ostia non è in sostanza che una sfoglia di grano, Lutero gli consigliò,
come nel Medioevo, di bruciarla.