Dt 30,10-14; Sal 18 (19); Col
1,15-20; Lc 10,25-37
Il Sal 18 celebra la Sapienza
di Dio, che ordina e regge l’universo e dirige e vivifica lo spirito e il cuore
dell’uomo. La seconda parte dell’inno, da cui è tratto l’odierno salmo
responsoriale, è un testo didattico sulla legge. L’autore tesse l’elogio della
legge divina: essa è pura, radiosa ed eterna; rinfranca l’anima e dona saggezza
ai semplici. La legge fondamentale dell’alleanza, cioè il Decalogo, è detta
semplicemente nella Bibbia “le dieci parole” (Es 34,28; Dt 4,13; 10,4).
All’uomo che cerca il perché del mondo, della vita, Dio offre la sua Parola. E’
Parola viva, sicura, indirizzo per la nostra esistenza; Parola divenuta
persona, uno di noi, Gesù il nostro Salvatore. In Cristo Gesù la legge è stata
adempiuta una volta per tutte (cf. Mt 5,17). Perciò per il cristiano
l’osservanza della legge si risolve in un rapporto personale d’amore con Cristo
e con i fratelli.
Il
tema del comandamento dell’amore vicendevole di cui parla il brano evangelico
ci viene proposto più volte lungo l’anno liturgico. Si tratta della legge
fondamentale del credente, quella legge di cui Mosè tesse le lodi nella la
prima lettura. Alla domanda del dottore della legge su che cosa debba egli fare
per ereditare la vita eterna, Gesù non risponde ma rimanda l’interlocutore a
ciò che sta scritto nella Legge di Mosè e che lo stesso dottore della legge
riassume bene così: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo
prossimo come te stesso”. Partendo dall’amore di sé e da quello di Dio, diventa
autentico l’amore per l’altro. Diversamente, c’è il pericolo di amare il
prossimo, presentandogli il conto. La novità però dell’insegnamento di Gesù sta
nella risposta alla seconda domanda formulata dallo scriba: “chi è il mio
prossimo?”, questione dibattuta dal rabbinismo. A questa domanda Gesù risponde
con la splendida parabola del Samaritano. Con questa parabola Gesù invita a
superare ogni diatriba teorica ed evasiva sul contenuto reale da dare al
termine “prossimo”: ogni uomo che si trova in bisogno, sia esso amico o nemico,
è “prossimo” a tutti gli altri uomini che, in qualsiasi maniera, vengono in
contatto con lui.
Cosa
fa il Samaritano? Prima di tutto si ferma
perché si muove a compassione, che qui è vero amore. Per chi ha sempre troppo
da fare, preso dai propri interessi, fermarsi per interessi altrui significa
accorgersi che esiste un altro, che soffre e che è nel bisogno. In secondo
luogo, si fa vicino all’uomo sofferente, non solo fisicamente ma anche con una
vicinanza affettiva: se i cuori sono distanti, la vicinanza fisica non serve.
In terzo luogo, si prodiga nei primi aiuti, cioè si rimbocca le maniche e
offre un aiuto concreto. Finalmente, il buon Samaritano si assicura che il suo assistito possa ricuperarsi pienamente dalla
disavventura. Non si accontenta di fare una buona azione, ma si preoccupa
dell’individuo incontrato per caso affinché questi possa ritornare alla vita
normale.
Nella
seconda lettura si parla di Cristo “immagine del Dio invisibile”, espressione
perfetta del volto del Padre, e perciò anche del suo amore infinito. Nel
malcapitato i Padri vedono l’umanità peccatrice e nel buon Samaritano vedono il
Cristo, che su tale umanità si china per prendersene cura. In Cristo Dio si è
fatto “vicino” (cf Rm 10,5-10) e in lui e con lui è possibile amare il
prossimo. Nell’eucaristia “l’agape di
Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso
di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può
capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14).