Dopo il primo scambio di osservazioni intorno agli abusi, M. Augé ha
replicato con un suo nuovo testo ( qui) nel quale precisa ancora meglio in quale senso si
trovi su una posizione diversa da quella da me espressa nell’articolo su RPL da
cui è scaturita la discussione. Mi pare che per M. Augé rimanga una sorta di
“veto” sulla creatività, che egli teme scivoli sul versante di un pericoloso
soggettivismo. Non essere creativi sembra la garanzia della oggettività
liturgica.
Ciò che vorrei aggiungere, dal mio punto di vista, non vuole essere una
prosecuzione della discussione, ma uno spostamento della questione, favorita da
alcune precisazioni.
La prima precisazione riguarda quello che ho scritto sul rapporto tra
“ritus” e “norma”. Io non oppongo affatto il rito alla norma, o la norma al
rito. So bene che in alcuni casi il rito si adatta alla norma, e in altri è la
norma ad adattarsi al rito. Sarebbe ingiusto e astratto pensare ad un primato
dell’uno sull’altra o viceversa. Ma ciò che mi sta a cuore è difendere, nel
modo più forte, il diritto di una “liturgia creativa”, non come scivolamento
nel soggettivismo, ma come una esigenza intrinseca ad ogni atto rituale vero.
Ciò che forse ci distrae è la figura tridentina e postridentina della
“cerimonia”, che pretende una “mera applicazione” da parte di
“sacerdoti-funzionari”. Questo immaginario è ancora molto forte. Ma ha subito
di recente diverse profonde modificazioni. Perché mai non vi può essere solo
una “preghiera eucaristica” ma ve ne sono tante diverse? E se nella storia
abbiamo costruito tante altre “anafore” perché mai dovrebbe essere questa nostra
generazione bloccata solo nel ripetere ciò che altri hanno creato?
Io penso che questa convinzione affondi le sue radici in una lettura non
completa della tradizione. Prima il ML e poi la RL hanno riaperto in nostro
rapporto con l’atto di culto. E la fedeltà alla tradizione passa ora non solo
più per la obbedienza, ma per la celebrazione. Questa non è la nostra novità,
ma è la ripresa di ciò che hanno fatto i cristiani per almeno un millennio, per
poi disimparare e infine per arrivare a autocensurare ogni atto creativo, sotto
la pressione di un “oggettività” che diventa “mera ripetizione del passato” e
per questo appare problematica. Nella liturgia non può esservi solo “passato”.
Io credo che le ragionevoli posizioni di Matias possano, anche oggi, essere
fraintese. Addirittura potrebbero essere utilizzate con molta facilità da quei
settori ecclesiali, che agli inizi del nuovo millennio hanno scritto il
“capolavoro della lotta agli abusi” che è stato “Redemptionis sacramentum”.
Quel testo, come sappiamo bene, era stato progettato, agli inizi, per “vietare
l’uso della espressione assemblea celebrante”. Poi nel testo finale del
documento entrò, per fortuna, una versione “minore” di quella intenzione, che
raccomandava di usare “con cautela” la espressione assemblea celebrante. Io
penso che senza usare “senza cautela” assemblea celebrante, ma anzi facendola
diventare la parola-chiave del nostro modo di celebrare, non riusciremo né a
ridimensionare la “ossessione da abuso” né a promuovere davvero nuovi usi,
diversi da una serie di individui “obbligati ad eseguire norme”, e davvero
simili ad un popolo che si raduna per celebrare la salvezza in Cristo.
Ecco, io penso che un giusto concetto di “creatività”, che superi le paure
della sua identificazione con il soggettivismo, sia una “condicio sine qua non”
per una vera recezione della Riforma liturgica. Forse su questo con Matias
restiamo su posizioni diverse. Lui ritiene che sia possibile celebrare in modo
“puramente oggettivo”: per me questo è un ideale scaturito da un contesto
storico segnato dal sospetto verso il soggetto, e che oggi deve essere
gradualmente superato.
NOTA. Pubblico
quest’ultimo testo del prof. Andrea Grillo, in cui egli conferma quanto ha
affermato sulla “creatività” liturgica nei post precedenti. Credo che le
posizioni di Grillo e le mie al riguardo siano abbastanza chiare. Certamente,
avrei ancora delle precisazioni da chiedere e delle domande da fare. Ma è
meglio per ora fermarsi qui. Più avanti nel tempo avremo occasioni per
riprendere il dialogo, che con Andrea è sempre arricchente. M. Augé