Es 32,7-11.13-14; Sal 50 (51);
1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32
Il Sal
50, il Miserere, è uno dei salmi più
noti del salterio. La tradizione giudaica ha attribuito questa supplica di
perdono a Davide adultero con Betsabea e assassino di Uria, il marito della
donna (cf 2Sam 10-12). Probabilmente si tratta però di una composizione
posteriore al re Davide. E’ un salmo per metà improntato all’esperienza amara
del peccato, e per l’altra metà contrassegnato dalla speranza certa e gioiosa
del perdono. Si potrebbe dire che più che un canto penitenziale, il Miserere è un poema che celebra il
ritorno alla vita e alla comunione con Dio nello spirito della parabola del
figlio prodigo, letta nel vangelo d’oggi. Nei versetti ripresi dal salmo
responsoriale odierno prevale quest’ultima dimensione, che è poi quella che
meglio esprime anche il messaggio delle altre due letture bibliche della
presente domenica nonché della colletta della messa in cui chiediamo a Dio di
poter “sperimentare la potenza della sua misericordia”.
Il
cap. 15 del vangelo di Luca, che leggiamo oggi, raccoglie tre bellissime
parabole raccontate da Gesù per annunciare a tutti la misericordia di Dio: la
pecora perduta, la moneta smarrita e il figlio prodigo. Il Signore con queste
parabole intendeva rispondere alle mormorazioni dei farisei che non vedevano di
buon occhio il fatto che egli ricevesse i peccatori e mangiasse con loro. Di
queste parabole la più toccante è senza dubbio la parabola “del figlio
prodigo”, oggi spesso e giustamente chiamata “del padre prodigo di
misericordia”. In questa toccante parabola, esclusiva di san Luca, ci viene
raccontato con quanta tenerezza un padre aspetta il figlio che se n’è andato
attirato da un sogno di falsa libertà e di ingannevole felicità. Dopo un po’ di
tempo, il figlio fuggito, ridotto alla fame e alla miseria, si è pentito di
quello che ha fatto. Anche se il suo pentimento sembra abbia come movente
principale la perdita della sicurezza economica, al suo ritorno alla casa
paterna, viene accolto senza rimproveri, anzi con grande gioia dal padre che lo
attendeva con trepidazione. Gesù rivela in questa parabola il vero volto di
Dio: padre misericordioso che vuole solo il nostro bene, che è sempre pronto a
perdonare.
Il
tema della misericordia di Dio è anche quello della prima lettura, un brano
tratto dal celebre racconto del “vitello d’oro”, vicenda paradigmatica del
peccato d’Israele contro il suo Dio. Gli Israeliti, stanchi di un Dio
misterioso, che non si vede, si costruiscono una divinità visibile e comoda, un
vitello di metallo fuso, poi gli si prostrano dinanzi e gli offrono sacrifici.
Il racconto conclude affermando che, nonostante le infedeltà d’Israele, Dio
ascolta la preghiera d’intercessione di Mosè “si pentì del male che aveva
minacciato di fare al suo popolo”. Parlando con il nostro linguaggio, possiamo
ben dire che in Dio la misericordia e l’amore appaiono infinitamente superiori
alla giustizia.
La
seconda lettura è una esaltazione commossa della misericordia di Dio fatta da
san Paolo che, già anziano e incarcerato a Roma, rilegge all’indietro la
propria vita, ormai tutta posta al servizio del vangelo: “Rendo grazie a colui
che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno
di fiducia […] Io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.
Ma mi è stata usata misericordia”. Pure noi siamo stati oggetto della
misericordia di Dio, anzi fatti partecipi della sua stessa vita, in modo
particolare nell’eucaristia. Infatti il perdono di Dio non è solo superamento
del peccato e dell’esclusione, ma è anche e soprattutto ritorno alla comunione
con lui e con i fratelli, il frutto specifico dell’eucaristia.