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venerdì 13 settembre 2019

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 15 Settembre 2019





Es 32,7-11.13-14; Sal 50 (51); 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32



Il Sal 50, il Miserere, è uno dei salmi più noti del salterio. La tradizione giudaica ha attribuito questa supplica di perdono a Davide adultero con Betsabea e assassino di Uria, il marito della donna (cf 2Sam 10-12). Probabilmente si tratta però di una composizione posteriore al re Davide. E’ un salmo per metà improntato all’esperienza amara del peccato, e per l’altra metà contrassegnato dalla speranza certa e gioiosa del perdono. Si potrebbe dire che più che un canto penitenziale, il Miserere è un poema che celebra il ritorno alla vita e alla comunione con Dio nello spirito della parabola del figlio prodigo, letta nel vangelo d’oggi. Nei versetti ripresi dal salmo responsoriale odierno prevale quest’ultima dimensione, che è poi quella che meglio esprime anche il messaggio delle altre due letture bibliche della presente domenica nonché della colletta della messa in cui chiediamo a Dio di poter “sperimentare la potenza della sua misericordia”.



Il cap. 15 del vangelo di Luca, che leggiamo oggi, raccoglie tre bellissime parabole raccontate da Gesù per annunciare a tutti la misericordia di Dio: la pecora perduta, la moneta smarrita e il figlio prodigo. Il Signore con queste parabole intendeva rispondere alle mormorazioni dei farisei che non vedevano di buon occhio il fatto che egli ricevesse i peccatori e mangiasse con loro. Di queste parabole la più toccante è senza dubbio la parabola “del figlio prodigo”, oggi spesso e giustamente chiamata “del padre prodigo di misericordia”. In questa toccante parabola, esclusiva di san Luca, ci viene raccontato con quanta tenerezza un padre aspetta il figlio che se n’è andato attirato da un sogno di falsa libertà e di ingannevole felicità. Dopo un po’ di tempo, il figlio fuggito, ridotto alla fame e alla miseria, si è pentito di quello che ha fatto. Anche se il suo pentimento sembra abbia come movente principale la perdita della sicurezza economica, al suo ritorno alla casa paterna, viene accolto senza rimproveri, anzi con grande gioia dal padre che lo attendeva con trepidazione. Gesù rivela in questa parabola il vero volto di Dio: padre misericordioso che vuole solo il nostro bene, che è sempre pronto a perdonare.



Il tema della misericordia di Dio è anche quello della prima lettura, un brano tratto dal celebre racconto del “vitello d’oro”, vicenda paradigmatica del peccato d’Israele contro il suo Dio. Gli Israeliti, stanchi di un Dio misterioso, che non si vede, si costruiscono una divinità visibile e comoda, un vitello di metallo fuso, poi gli si prostrano dinanzi e gli offrono sacrifici. Il racconto conclude affermando che, nonostante le infedeltà d’Israele, Dio ascolta la preghiera d’intercessione di Mosè “si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. Parlando con il nostro linguaggio, possiamo ben dire che in Dio la misericordia e l’amore appaiono infinitamente superiori alla giustizia.



La seconda lettura è una esaltazione commossa della misericordia di Dio fatta da san Paolo che, già anziano e incarcerato a Roma, rilegge all’indietro la propria vita, ormai tutta posta al servizio del vangelo: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia […] Io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia”. Pure noi siamo stati oggetto della misericordia di Dio, anzi fatti partecipi della sua stessa vita, in modo particolare nell’eucaristia. Infatti il perdono di Dio non è solo superamento del peccato e dell’esclusione, ma è anche e soprattutto ritorno alla comunione con lui e con i fratelli, il frutto specifico dell’eucaristia.