Credo che si debba ringraziare l’Abbé Davide Pagliarani, Superiore Generale
della FSPX, per la lunga intervista che si può leggere qui . La importanza di questo lungo testo può essere racchiusa in una
frase: sia pure da un punto di vista radicalmente critico, e per me del tutto
inaccettabile, apprezzo la chiarezza con cui Don Davide riconosce con estrema
chiarezza la logica di continuità tra il Concilio Vaticano II e il magistero di
papa Francesco, così come si è espresso in Amoris Laetitia e
nel Sinodo sulla Amazzonia.
Ovviamente si tratta di una lettura “catastrofica”, che legge le tappe del
pontificato di Francesco come “bombe atomiche”, come distruzioni della
tradizione, come negazioni della identità cattolica. Ma il valore esemplare
della intervista consiste nel ricondurre, con estrema linearità, tutta questa
vicenda attuale alla sua vera radice, ossia al Vaticano II, alla sua
ecclesiologia e alla sua teorizzazione del rapporto col mondo. Non si
tratta della stravaganza di un papa originale, ma della lineare conseguenza del
Vaticano II.
Di qui deriva il tono reciso e duro di negazione di ogni pluralismo, di
ogni dialogo, di ogni aggiornamento. Per questo, in Don Davide, appare del
tutto comprensibile che il simbolo del Concilio e di tutti i suoi “errori” sia
la Riforma Liturgica. Per questo, nella parte conclusiva della sua intervista,
dopo aver enumerato tutte le catastrofi che discendono dalla ecclesiologia e
dalla liturgia conciliare. egli fa della “messa tridentina” il principio di una
resistenza ad oltranza. E dice così:
“Concrètement, il faut passer à la Messe tridentine et à tout ce que cela
signifie ; il faut passer à la Messe catholique et en tirer toutes les
conséquences ; il faut passer à la Messe non œcuménique, à la Messe de toujours
et laisser cette Messe régénérer la vie des fidèles, des communautés, des
séminaires, et surtout la laisser transformer les prêtres. Il ne s’agit pas de
rétablir la Messe tridentine, parce qu’elle est la meilleure option théorique ;
il s’agit de la rétablir, de la vivre et de la défendre jusqu’au martyre, parce
qu’il n’y a que la Croix de Notre-Seigneur qui puisse sortir l’Eglise de la
situation catastrophique dans laquelle elle se trouve.”
La lettura della intervista aiuta a comprendere in modo più chiaro la
sequenza argomentativa: i disastri attuali hanno la loro radice nel Concilio
Vaticano II, il cui emblema è la Riforma Liturgica. Perciò, per resistere nella
“chiesa di sempre”, per contestare ogni pluralismo, ogni democrazia, per
opporsi al cedimento al divorzio di Amoris Laetitia e per non cadere nel
paganesimo del Sinodo sulla Amazzonia occorre “passare alla messa tridentina” e
fare del Vetus Ordo la linea di resistenza contro il Concilio e contro la sua
attuazione in mezzo a noi.
A leggere queste parole non si può non guardare alla ingenuità di una
Chiesa così tiepidamente conciliare, da aver permesso di fare di questo
programma reazionario una “possibilità pastorale” aperta ad ogni parrocchia.
Solo quando avremo capito la gravità dell’errore commesso nel 2007, con una
“liberalizzazione del rito di Pio V” sapremo correre ai ripari e rispettare
quella riforma liturgica che costituisce parte integrante del nostro rispetto
verso il Concilio Vaticano II.
Forse proprio questa intervista di Don Davide, con tutta la sua prepotente
anticonciliarità, saprà aprire gli occhi di chi non vuol vedere e le orecchie
di chi non vuol sentire. A Don Davide va dato atto di dire con estrema
durezza le cose “da fuori”. Sorprende molto che le stesse parole noi
stiamo ascoltando da 12 anni sulle bocche di uomini delle istituzioni, di preti
giovani, di preti anziani dalla memoria corta, di qualche vescovo, addirittura
di alcuni cardinali. La differenza è che Don Davide ha il coraggio di
identificare nel Vaticano II il suo nemico, mentre gli altri preferiscono “dimenticarlo”
o “rimuoverlo”. Credo che dopo Amoris Laetitia e dopo il
Sinodo sulla Amazzonia si dovrà fare chiarezza sulla liturgia. Il piede non si
può tenere in due scarpe. Soprattutto il Magistero “dei sommi pontefici” non
può restare ambiguo sul piano della liturgia. Perché questa ambiguità, questa
imparzialità tra vecchio e nuovo, questa indifferenza verso le scelte
conciliari, paralizza tutto il sistema. Per questo, in modo opposto e contrario
rispetto a lui, apprezzo molto la lucidità consequenziale e senza
fronzoli dell’Abbé Pagliarani. La liturgia è davvero decisiva, come fonte e
culmine del sistema. Se siamo ambigui sulla liturgia, tutto è
compromesso. Una delle condizioni per la attuazione di Amoris
Laetitia, e per la buona gestione del Sinodo sulla Amazzonia, è il
superamento della ambiguità reazionaria e anticonciliare di Summorum
pontificum. Ora questa evidenza, dopo le parole di Don Davide, è
diventato molto più chiara.