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venerdì 20 settembre 2019

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 22 Settembre 2019





Am 8,4-7; Sal 112 (113); 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13



 Il Sal 112 è stato chiamato il Magnificat dell’Antico Testamento. Infatti il suo contenuto ha diversi punti di contatto con l’inno di Maria. Questo inno che Israele cantava nei giorni di Pasqua, è un invito a lodare il Signore, il quale è presente lungo la storia della salvezza sempre pronto a sollevare l’indigente dalla polvere e il povero dall’immondizia. Povero era Israele quando Dio lo venne a trovare nell’Egitto per salvarlo e innalzarlo al di sopra di tutti i popoli. Questo salmo è il canto degli ultimi che agli occhi di Dio sono i primi. Oggi siamo invitati a riflettere sui rischi che comporta per la nostra salvezza l’attaccamento ai beni materiali.

         

Per bocca del profeta Amos (prima lettura), il Signore giura che non dimenticherà mai le opere inique di coloro che erano a tal punto avidi e disonesti da attendere con ansia la fine dei giorni di festa per riprendere i loro perversi affari a danno dei clienti più poveri. Le parole del profeta sembrano dire esattamente il contrario di quanto si deduce dalla parabola dell’amministratore astuto riportata dal vangelo d’oggi. Infatti le parole conclusive della parabola (“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”) suscitano perplessità. Gesù propone come modello il comportamento di un amministratore disonesto, il quale davanti alla minaccia di perdere il posto non esita a falsificare i bilanci praticando sconti ai debitori del suo padrone in modo di assicurarsi poi da essi una qualche protezione. Notiamo però bene, Gesù non loda la disonestà di questo amministratore, ma la sua prontezza e scaltrezza nel prepararsi un futuro sicuro. E invita tutti gli onesti a fare altrettanto: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Sia il profeta Amos che Gesù ci esortano a vivere il presente guardando al futuro, a non malversare il tempo che ci viene dato per conquistare i beni eterni.



La nostra esistenza rischia di trascorrere come quella di bambini distratti mentre il tempo della vita scorre in fretta. Gesù biasima gli uomini indifferenti, flaccidi, amorfi, superficiali che troppo spesso costella il panorama della società del nostro tempo. Le parole di Gesù sono quindi un invito ad amministrare con saggezza e prudenza i talenti ricevuti, mettendo i beni sia materiali che spirituali al servizio del progetto che Dio ha sulla storia e sull’uomo. Gesù vuole scuotere la nostra inerzia orientando la vita di noi tutti verso i beni definitivi, verso il  traguardo della salvezza. E per portare a buon termine questo compito, ci viene ricordato che non possiamo “servire a Dio e la ricchezza”. Qui il testo evangelico chiama la ricchezza con un termine di origine fenicia “mammona”, quasi per indicare la personificazione idolatrica dei beni di questo mondo che ci potrebbero offuscare il cammino che conduce ai veri beni, quelli che arricchiscono presso Dio. Solo chi ha il cuore libero dalla ricchezza di questo mondo, può essere degno della ricchezza del Regno.



La preghiera, di cui parla la seconda lettura, è capace di incidere sui fatti della vita operando, alla luce della fede, un diverso approccio alle cose, una visione del mondo che ci aiuti a valutare le realtà della terra alla luce dei valori supremi e definitivi verso cui la nostra vita è protesa. Fedeli alla legge dell’incarnazione, preghiamo nella vita e con la vita, non fuggendo dal mondo degli uomini. Fedeli alla legge della risurrezione, indirizziamo la nostra preghiera verso la piena realizzazione del Regno. La celebrazione dell’eucaristia è una preghiera di lode i di ringraziamento per il dono supremo della salvezza in Cristo, che viene ripresentato qui per noi, affinché “la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita” (orazione dopo la comunione).