Am 8,4-7; Sal 112 (113); 1Tm
2,1-8; Lc 16,1-13
Il Sal 112 è stato chiamato il Magnificat dell’Antico Testamento.
Infatti il suo contenuto ha diversi punti di contatto con l’inno di Maria.
Questo inno che Israele cantava nei giorni di Pasqua, è un invito a lodare il
Signore, il quale è presente lungo la storia della salvezza sempre pronto a
sollevare l’indigente dalla polvere e il povero dall’immondizia. Povero era
Israele quando Dio lo venne a trovare nell’Egitto per salvarlo e innalzarlo al
di sopra di tutti i popoli. Questo salmo è il canto degli ultimi che agli occhi
di Dio sono i primi. Oggi siamo invitati a riflettere sui rischi che comporta
per la nostra salvezza l’attaccamento ai beni materiali.
Per
bocca del profeta Amos (prima lettura), il Signore giura che non dimenticherà
mai le opere inique di coloro che erano a tal punto avidi e disonesti da
attendere con ansia la fine dei giorni di festa per riprendere i loro perversi
affari a danno dei clienti più poveri. Le parole del profeta sembrano dire
esattamente il contrario di quanto si deduce dalla parabola dell’amministratore
astuto riportata dal vangelo d’oggi. Infatti le parole conclusive della
parabola (“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito
con scaltrezza”) suscitano perplessità. Gesù propone come modello il comportamento
di un amministratore disonesto, il quale davanti alla minaccia di perdere il
posto non esita a falsificare i bilanci praticando sconti ai debitori del suo
padrone in modo di assicurarsi poi da essi una qualche protezione. Notiamo però
bene, Gesù non loda la disonestà di questo amministratore, ma la sua prontezza
e scaltrezza nel prepararsi un futuro sicuro. E invita tutti gli onesti a fare
altrettanto: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei
figli della luce”. Sia il profeta Amos che Gesù ci esortano a vivere il
presente guardando al futuro, a non malversare il tempo che ci viene dato per
conquistare i beni eterni.
La
nostra esistenza rischia di trascorrere come quella di bambini distratti mentre
il tempo della vita scorre in fretta. Gesù biasima gli uomini indifferenti,
flaccidi, amorfi, superficiali che troppo spesso costella il panorama della
società del nostro tempo. Le parole di Gesù sono quindi un invito ad
amministrare con saggezza e prudenza i talenti ricevuti, mettendo i beni sia
materiali che spirituali al servizio del progetto che Dio ha sulla storia e
sull’uomo. Gesù vuole scuotere la nostra inerzia orientando la vita di noi
tutti verso i beni definitivi, verso il
traguardo della salvezza. E per portare a buon termine questo compito,
ci viene ricordato che non possiamo “servire a Dio e la ricchezza”. Qui il
testo evangelico chiama la ricchezza con un termine di origine fenicia
“mammona”, quasi per indicare la personificazione idolatrica dei beni di questo
mondo che ci potrebbero offuscare il cammino che conduce ai veri beni, quelli
che arricchiscono presso Dio. Solo chi ha il cuore libero dalla ricchezza di
questo mondo, può essere degno della ricchezza del Regno.
La
preghiera, di cui parla la seconda lettura, è capace di incidere sui fatti
della vita operando, alla luce della fede, un diverso approccio alle cose, una
visione del mondo che ci aiuti a valutare le realtà della terra alla luce dei
valori supremi e definitivi verso cui la nostra vita è protesa. Fedeli alla
legge dell’incarnazione, preghiamo nella vita e con la vita, non fuggendo dal
mondo degli uomini. Fedeli alla legge della risurrezione, indirizziamo la
nostra preghiera verso la piena realizzazione del Regno. La celebrazione
dell’eucaristia è una preghiera di lode i di ringraziamento per il dono supremo
della salvezza in Cristo, che viene ripresentato qui per noi, affinché “la
redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita” (orazione
dopo la comunione).