Duomo di Faenza
Tomaso Montanari, nel suo recente libro Chiese
chiuse (Giulio Einaudi editore, Torino 2021, pp. 67-81), ammette che non è facile fornire
un bilancio coerente, ma si può abbozzare una divisione in tipologie degli
adeguamenti liturgici nefasti, secondo una classificazione pensata in base al
danno arrecato alla chiesa. In una scala ascendente di gravità l'autore parla
di 1) adeguamenti che introducono strutture o oggetti che alterano l’equilibrio
storico e formale della chiesa e/o impediscono la visione e la corretta
percezione dell'architettura e delle opere d'arte antiche; 2) adeguamenti che
comportano lo spostamento delle strutture e le opere all'interno della chiesa
stessa: 3) adeguamenti che comportano la rimozione di opere mobili; 4) adeguamenti
che comportano la rimozione di strutture stabili; 5) adeguamenti che comportano
l'alterazione della struttura architettonica e degli arredi fissi della chiesa.
Per ogni tipologia di adeguamenti, Montanari offre esempi concreti.
L’adeguamento delle chiese alle esigenze della riforma
liturgica promossa dal Vaticano II è un argomento delicato. L’autore cita al
riguardo, e in gran parte condivide, una Nota pastorale della CEI del 1996, in
cui si dice, tra l’altro: “a differenza di altri aspetti della riforma
liturgica e della vita ecclesiale, l'adeguamento liturgico delle chiese non è
fatto di interesse esclusivamente ecclesiale; è un evento di pubblica evidenza
ed è oggetto di attenzione, di discussione, di valutazione anche al di fuori
delle comunità cristiane. Infatti, alcuni recenti interventi di adeguamento
hanno suscitato prese di posizioni, polemiche contrasti, sia per la loro
evidenza e originalità, sia perché sono stati realizzati nel cuore di edifici
che spesso costituiscono parte fondamentale del patrimonio monumentale del
nostro paese e interessano per varie regioni i singoli e gruppi delle
istituzioni”.
Il problema dell’adeguamento delle chiese alle
esigenze del culto non è nuovo. Si è presentato più volte lungo la storia. Montanari
fa riferimento, tra l'altro, alla storia della basilica di San Pietro in
Vaticano. Il 18 Aprile del 1506 mentre Giulio II poneva la prima pietra della
nuova basilica, i canonici della venerabile basilica costantiniana, che
cominciava a subire i primi affronti, ribattezzavano Donato Bramante “mastro ruinante”,
cogliendo appieno il nesso tra distruzione e costruzione quello che Horst Bredekamp
ha definito “il principio della distruzione produttiva”.