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venerdì 17 novembre 2023

DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 19 Novembre 2023

 



 

 

Prv 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

 

Vicini ormai alla fine dell’anno liturgico, anche questa domenica è dominata dal pensiero delle ultime realtà, ma con una particolare sottolineatura: il rimando alla responsabilità personale nel presente come fatto decisivo in ordine al giudizio del futuro. Siamo liberi di scegliere come spendere la propria esistenza terrena, ma solo chi segue fedelmente le vie indicate dal Signore raggiungerà un traguardo luminoso. La prima lettura fa l’elogio della donna perfetta, di cui si loda sia la sua integrità morale sia la sua capacità di gestire con fermezza, intelligenza ed amabilità la sua casa. La parabola dei talenti riportata dal vangelo si muove su una linea simile ma superiore.

 

Nella lettura della parabola sui talenti, occorre concentrare l’attenzione sul comportamento del servo cattivo. Infatti, la chiave dell'intera parabola è il dialogo fra il servo malvagio e il padrone. Il servo ha una sua idea del padrone e cioè quella di un uomo duro che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso. In una simile concezione di Dio c'è posto soltanto per la paura e la scrupolosa osservanza della legge, tutto ciò che è prescritto e nulla di più. Il servo non intende correre rischi e mette al sicuro il denaro, credendosi giusto allorché può ridare al padrone quanto ha ricevuto. Noi lettori siamo tentati di ritenere giusto il ragionamento del servo, e ingiusta la pretesa di un tale padrone. Questa reazione è quella degli scribi, dei farisei e degli zelanti e scrupolosi osservanti della legge. Essi concepiscono la giustizia come un rapporto di parità: tanto-quanto. Gesù invece si muove nella prospettiva dell’amore che è senza calcoli ma anche senza paure. Il servo non deve porre limite al proprio servizio, perché l’amore non ha limiti. E non deve avere paura di correre rischi, perché non c’è paura nell’amore.

 

La parabola dunque, fondamentalmente, ha lo scopo di far comprendere la vera natura del rapporto che corre fra Dio e noi sue creature. È tutto l’opposto di quel timore servile che cerca rifugio e sicurezza nell’osservanza esatta delle norme. È invece un rapporto di amore, dal quale soltanto possono scaturire coraggio, generosità e libertà.

 

Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore; ci incontreremo solo con ciò che avremo costruito, ma anche con tutto ciò che avremo avuto il coraggio di aspettarci da Dio. La venuta dell’ultimo giorno, del giorno del Signore, sarà un’amara sorpresa solo per chi avrà sistematicamente ignorato le proprie responsabilità e avrà chiuso il suo cuore alla speranza. Nella seconda lettura, san Paolo ribadisce la stessa dottrina: conoscendo le ultime realtà a cui andiamo incontro, non possiamo comportarci come se non esistessero, ignorandole o adagiandoci in una passiva e inattiva attesa. Ciò che Dio ci chiede è ben poca cosa: la fedeltà alla sua grazia, l’apertura del nostro cuore al suo amore.

 

Possiamo ben dire che la santa eucaristia a cui partecipiamo costituisce la sintesi massima dei talenti datici da Dio. Perciò la partecipazione fruttuosa ad essa è pegno della gloria futura: ci ottiene la grazia di servire il Signore con generosità e ci prepara il futuro di un’eternità beata.